(Century Media Records, 2012)
1. Omega Mortis
2. Global Flatline
3. The Origin of Disease
4. Coronary Reconstruction
5. Fecal Forgery
6. Of Scabs And Boils
7. Vermicualr, Obscene, Obese
8. Expurgation Euphoria
9. From A Tepid Whiff
10. The Kallinger Theory
11. Our Father, Who Art of Feces
12. Grime
13. Endstille
Nel 2008, in piena ondata deathcore/metalcore, gli Aborted diedero alle stampe Strychnine.213, un album costretto a prendere le distanze dagli intenti originali della band, concentrata su un recupero del death metal di stampo americano da una parte e della fondamentale componente gore dall’altra.
A metà strada tra straordinaria concisione carcassiana e classicismo floridiano, con un’attenzione particolare per il groove e la modernità ritmica, la band aveva creato la morbosa immagine di un manifesto all’osceno, imparando e allo stesso tempo allontanandosi dai capisaldi del genere: con Strychnine.213 però, causa l’allora mercato, intasato all’inverosimile da pessime uscite di band francamente inutili, la rotta degli Aborted sembrò virare verso i canoni che il deathcore aveva imposto nella sua breve ma intensa vita (nell’anno precedente erano usciti tre fondamentali capisaldi del nuovo ibrido estremo, “Dead in My Arms” dei Carnifex, “The Somatic Defilement” dei Whitechapel, “Crucify.Kill.Rot” dei Rose Funeral, veri e propri serbatoi di spunti ed idee).
Il risultato fu un buon album, ricco di spunti interessanti (“Avarice of Vilification” e “Ophiolatry” su tutti), forse poco comprensibile ai primi ascolti, indubbiamente troppo aperto e distante dai lavori precedenti per i puristi del genere.
Con lo straordinario Ep Coronary Reconstuction (2010) è innegabile il ritorno alle origini: brani di impatto formidabile, purissima violenza sonora condensata in forma comprensibile e tracciabile, ma soprattutto totale abbandono degli stantii cliché deathcore/metalcore (con tanto di cover di “Left Hand Path”).
Global Flatline, su questa scia, sembra voler ufficialmente risollevare le sorti del death metal moderno.
Nei tredici brani si respira la sinistra atmosfera tanto bramata dagli ascoltatori più fedeli, in un crescendo di estremismo sonoro e lirico (naturalmente facilmente sostenibile): come già sottolineato, il suond degli Aborted, poggia pesantemente sulla componente gore dei testi, più vicini al particolareggiato descrittivismo dei Carcass che alla provocante oscenità dei Cannibal Corpse, tentando un paragone; l’impatto verbale si evince da titoli quali “Our Father, Who Art of Feces” o “Vermicular, Obscene, Obese”, sempre in bilico tra moralmente scorretto e disgusto corporale (e di conseguenza tra death classico e derive grindcore).
Musicalmente la situazione è decisamente semplice: impalcature di blast beats sorreggono riffs talvolta indecifrabili, perfetto sostegno per il delirio vocale di Sven De Caluwè, diviso tra vocalità gutturale e screaming decisamente più moderno (tanto inconfondibile quanto necessitante di perfezionamento).
La grande presenza di assoli di chitarra rimanda alla grandiosa scuola dei Morbid Angel, non avvicinandosi più del dovuto al technical death degli ultimi anni (niente di più lontano dalle funamboliche melodie oniriche dei Decrepit Birth).
Tocchi di modernità si manifestano in brani come “Of Scabs and Boils”, dall’incedere inizialmente meccanico, su di un riff tanto semplice quanto efficace; “Expurgation Euphoria”, dal mood alienante e mefitico, rimanda alle atmosfere dell’album precedente, in opposizione a “Fecal Forgery”, vero manifesto di brutalità senza compromessi di sorta, arricchito da un breve solo che stravolge totalmente l’impianto armonico del brano.
Per puntualizzare è giusto dire che sono presenti anche tre dei brani che componevano la tracklist dell’ultimo Ep, ovvero “Coronary Reconstruction”, “From a Tepid Whiff” e “Grime” (quest’ultimo dal grande impatto).
Global Flatline è un buon lavoro, agli antipodi rispetto all’album precedente e sensibilmente vicino alle origini della band: rischiando l’ira dei nostalgici dell’old school dura e pura è giusto dire che il death metal (oggi) deve la sua sopravvivenza ad album come questi, coraggiosamente privi degli esasperanti dogmi della modernità a tutti i costi (dai Carnifex agli A Day to Remember, ahimè, oggigiorno la strada è poca).
7,5