(Fragile Branch Recordings/Vendetta Records/Sentient Ruin Laboratories, 2015)
1) Lightless
2) Open Veins
3) Cruciform
4) Glowing Wounds
In una città come Oakland, dove da ogni tombino sbuca fuori una band dedita a suonare post metal, sludge o doom, è difficile riuscire ad emergere dalla massa. Gli Abstracter, nati nel 2010 e provenienti proprio da questa città, dopo essere scesi in strada nel 2012 con il notevole album di debutto Tomb Of Feathers decidono, con questo Wound Empire (che arriva in seguito ad un grosso cambio di line up nella sezione ritmica), di compiere un passo decisivo nel proprio percorso di formazione, dimostrando nell’ occasione di possedere una forte personalità.
L’album è composto da quattro lunghissime tracce e a spalancare i cancelli è l’inquietante “Lightless”. L’apocalittico inizio del brano intimorisce subito e, oltre a presentare bene cosa ci aspetterà durante l’ascolto del disco, ci fa sprofondare in una coltre impenetrabile di sludge/doom rabbioso e ipnotico, esprimendo uno stato di angoscia mista a frustrazione che ricorda molto gli Amenra. Dopo questi intensi dieci minuti si torna su coordinate post metal con “Open Veins”, in cui le ispirate vocals di Mattia Alagna (di notevole intensità in tutto l’album e molto più sofferte rispetto a quanto si poteva udire sul lavoro precedente) si infilano perfettamente dentro alle tristi stratificazioni delle chitarre, creando una satura atmosfera malinconica che cresce e si contorce intrappolando l’ascoltatore in una soffocante morsa. “Cruciform” è un perverso labirinto di suoni tetri e rarefatti, composto da spaventose chitarre che ci riconducono ai primi Isis sorrette da passaggi cadenzati più prettamente doom dettati da Emad dietro alle pelli. La conclusiva “Glowing Wounds” invece ci ipnotizza e ci traghetta verso isole sperdute e ostili per poi portarci nei vulcanici e psichedelici ambienti tanto cari ai Minsk di The Ritual Fires Of Abandonment. Con questo pezzo gli Abstracter ci prendono per mano e ci accompagnano a visitare gli sconvolgenti luoghi della mente dove abitano e dove condividono i loro mali di vivere insieme ai (quasi) defunti Altar Of Plagues e alle sempre dannate anime degli Swans. Questo pezzo è la vera chicca del disco, vale l’album, vale la band, vale il viaggio senza ritorno nei meandri di Wound Empire.
È davvero da apprezzare il grandissimo passo che gli Abstracter sono riusciti a compiere con questo Wound Empire; sopra ad ogni cosa evidenziamo il lavoro di Robin Kahn alla chitarra, che grazie al suo bagaglio di deviati accordi e depresse dissonanze impreziosisce il disco con atmosfere sinistre e dolorose. La band californiana, grazie anche ad un eccellente lavoro di produzione e missaggio (l’album è stato registrato agli Earhammer Studios di Oakland da Greg Wilkinson) è riuscita a partorire un’opera nera e lacerante che suona come un unico grido, lungo oltre quaranta minuti, contro l’umanità e tutte le sue aberrazioni.
8.0