(VHF Records, 2011)
1. Jocasta
2. One Number of Destiny in Niney Nie
3. Laudanum Tusk
4. Vivarium
5. Dream Tassels
6. Vyomagami Plume
7. Something To Sleep Is Still
Quarto album in studio per gli Aethenor, formazione che vede tra le fila Daniel O’Sullivan e Kristoffer Rygg dei ben più noti e blasonati Ulver, nonché l’istrionico Stephen O’Malley che, tra gli innumerevoli progetti musicali in cui è coinvolto, non possiamo non ricordare i grandiosi Sunn O))).
Il quartetto, completato dal batterista Steve Noble, si muove in una direzione astratta, al di fuori da qualunque codifica della forma musicale, dal sistema melodico all’organizzazione sonora, creando immagini e paesaggi di allucinante (sebbene lucidissimo) disordine.
Infatti, il concetto di musica intesa come successione organizzata di suoni è nullo e assolutamente superfluo nell’universo degli Aethenor, che, forti della militanza dei propri membri in altre formazioni dedite a diversi aspetti dell’avanguardia (Ulver, Borknagar, Sunn O))), Ginnungagap ecc), uniscono le proprie visioni sonore in qualcosa di unico.
Solitamente quando una band si dedica alla psichedelia (intesa in senso allargato), alle sonorità space, ambient o ancora stoner, facilmente si sentono nominare i primi Pink Floyd come nome tutelare: gli Aethenor, dal loro canto, sembrano voler evitare la lezione della seminale band inglese, sebbene a tratti sentiamo in lontananza echi distorti di quel Ummagumma (1969) che non era da intendere diversamente da una ricerca sul timbro e la sonorità di ogni strumento, volta certamente anche al “rumorismo”.
I panorami dipinti dagli Aethenor, però, sono molto di più: “Vyomagami Plume” e “One Number Of Destiny In Ninety Nine” sono stracolme di echi space rock e si muovono sulla scia della Kosmische Musik più essenziale e compressa, creando vere e proprie immagini di profondità interstellari.
L’altro aspetto del sound Aethenor è quello volto alla sperimentazione timbrica, ovvero all’utilizzo degli strumenti unicamente grazie al suono prodotto, indipendentemente che esso possa essere considerato musicalmente: corde grattate e lasciate fischiare, la batteria che perde la propria funzione ritmica per diventare unicamente oggetto percussivo e così via, sfociando quindi nel vero e proprio rumore (ascoltare, in questo senso, “Dream Tassels”).
D’altra parte le fughe drone in senso vero e proprio sono ridotte al minimo:l’elettronica non è poi così invadente come si potrebbe pensare e anche i prevedibili echi dei Sunn O))) sono più lontani che mai.
Tra tutti i brani è forse “Vivarium” quello più rivolto ad un sound meccanico ed “automatizzato”, che sembra a volte rendere tributo al padre di tutti gli album noise/drone, ovvero Metal Machine Music di Lou Reed (1975).
In conclusione il lavoro degli Aethenor merita più di un ascolto, infrangendo il sottilissimo confine tra musica e rumore e scoprendo quello che in realtà essi hanno in comune.
Voto: 7,5.