(Profound Lore Records, 2013)
1. Mills;
2. God Alone;
3. A Body Shrouded;
4. Burnt Year;
5. A Remedy and a Fever;
6. Twelve Was Ruin;
7. Scald Scar of Water;
8. Found, Oval and Final;
9. Reflection Pulse Remains
Gli Altar Of Plagues sono ormai diventati un passaggio fisso ed obbligatorio per Grind On The Road: dalle recensioni di Mammal e dello split con gli Year Of No Light, fino al live report della loro data all’XM24 di Bologna possiamo dire di aver seguito a più riprese e sotto diversi aspetti l’evoluzione stilistica del gruppo e di quel fenomeno musicale che tenta di farcire il black metal con contaminazioni post- più o meno metal e più o meno marcate, a tal punto da usare gli irlandesi stessi come metro di paragone per diverse uscite attinenti al genere. Ormai diamo per scontato che chi si approcci a questi articoli già ne conosca le uscite maggiori (Mammal, l’EP Tides e White Tomb, in ordine di preferenza del sottoscritto), così come sappiamo che la stragrande maggioranza del pubblico che li apprezza sia più avvezzo alle sperimentazioni dei grossi nomi capostipiti del post metal che all’intransigenza del black metal più puro e ferale.
Se Mammal mostrava un’impressionante maturità compositiva unita ad una profonda ricerca per le atmosfere, il brano presente nello split con gli Year Of No Light (oltretutto appena approdati all’etichetta francese Debemur Morti), pur appartenendo ad un periodo più datato dell’evoluzione del gruppo, lasciava intravedere le possibilità di un cambio di direzione verso soluzioni ancora meno ortodosse rispetto a quelle già espresse nell’ultimo disco. Teethed Glory And Injury è quel cambio di direzione. Niente più black metal (sì, qualche scream e riff ci sono ancora, ma in quantità davvero esigua) e forse ancora meno metal in senso stretto: l’andare al di là di qualsiasi classificazione sembra esserne l’obiettivo. I punti di contatto con Mammal (sentire “Burnt Year” o “Twelve Was Ruin” per esempio), Tides e “Light Through a Tomb” ovviamente sono presenti, ma è l’approccio che si è radicalizzato verso qualcosa di indefinito e indefinibile. Post è probabilmente la parola più adatta a definire il traguardo ora raggiunto dagli Altar Of Plagues, un post però che tenta davvero di andare oltre sé stesso e oltre al genere inquadrato dalla critica, che non vuole ripetersi manieristicamente come accade al più idolatrato degli idoli (leggasi: Neurosis). La ricerca sonora qui in atto non va però ad intaccare la maestosità delle atmosfere, che rimangono anche qui uno dei punti salienti grazie ad un ottimo uso dell’elettronica: il vorticoso trasformarsi di “A Remedy And A Fever” forma uno splendido trittico assieme a “Twelve Was Ruin” e alla enslavediana “Scald Scar Of Water” (che riprende il meglio del singolo “God Alone”), senza dimenticare i giochi melodici quasi post rock della conclusiva “Reflection Pulse Remains”. A livello generale è comunque difficile scegliere un episodio che possa fare da summa dell’intero disco, le canzoni si susseguono l’una all’altra in maniera naturale, dando l’idea di una continuità decisamente non casuale e ben ponderata; la stessa “God Alone”, scelta come apripista nella promozione del disco, supportata da un discusso videoclip che forse troppo precipitosamente è stato denigrato, non rende giustizia alla complessità di fondo di Teethed Glory And Injury, nonostante fornisca una chiara idea del cambiamento che è avvenuto.
Sono convinto che la maggior parte dei giudizi positivi su questo disco saranno dovuti alla sola presenza del nome Altar Of Plagues sulla copertina o dalla fretta di essere i primi a tessere le lodi del loro nuovo parto, senza fare troppo caso alla “densità” delle composizioni. Purtroppo questo è uno dei lati negativi di internet, ma non bisogna lasciarsi sopraffare dalla voglia di strafare e stra-citare: troppo facile sarebbe nascondersi dietro alla parola capolavoro o alle chiare influenze di Isis, Cult Of Luna e di quel modo tutto americano di fare pseudo black metal, senza tentare di capire a fondo Teethed Glory And Injury. I tempi “redazionali” impongono in un certo senso di discutere di un’uscita nel momento in cui effettivamente viene resa pubblica, ma non sempre questo gioca a favore del disco stesso e del recensore di turno, perché album come questi presuppongono e meritano tempi di decantazione talmente lunghi che probabilmente, alla fine, nemmeno si vorrebbe più scriverne un commento. In conclusione di questo interminabile papiro e preso da tante considerazioni personali, non ultima quella che ancora non mi permette di capire quanto effettivamente mi piaccia il disco, per ora mi sento di premiare la temerarietà degli Altar Of Plagues e quello che finora sono riuscito ad apprezzare della loro ultima uscita.