(ConSouling Sounds, 2011)
1. From Birth to The Grave
2. A Promise to Make
3. Offerande
4. Ritual I
5. Ritual II
Quella a cui ci troviamo di fronte è la ristampa di Mass II (2005), secondo album in studio per gli Amenra, combo belga dedito ad una miscela ad alto contenuto infiammabile di doom e sludge, arricchito da un gran numero di influenze, che analizzeremo poi nello specifico.
Il lavoro di cui stiamo parlando, è bene specificarlo subito, può essere considerato in prima istanza come un regalo rivolto ai fan, ai collezionisti nonchè agli amanti del vinile: il formato in 12” e la supervisione alla rimasterizzazione di Billy Anderson, leggendario produttore al fianco di band del calibro di Neurosis, Swans nonché Eyehategod, rende il tutto un piatto davvero gustoso per i feticisti della musica su disco e dell’alta fedeltà.
Ascoltando Mass II per la prima volta ho avuto una strana impressione, che subitaneamente si è trasformata in una consapevolezza: finalmente qualcosa di “nuovo”, fresco e dannatamente arrabbiato nello stagnante mondo delle nuove correnti doom/sludge/post HC.
Gli Amenra dimostrano come sia possibile coniugare i punti chiave di un genere nato letteralmente nel fango come lo sludge, insieme a pittoriche sezioni atmosferiche talmente lontane dalla sua marcia attitudine da sembrare quasi inconciliabili.
Mass II non ricade nella pacchianeria moderna: non vi sono eccessi in nessuna delle direzioni, non vi è nessun riferimento a generi mainstream (con tutto il rispetto) quali metalcore, metal/hardcore o più recentemente deathcore, costante della musica estrema dell’ultimo decennio.
Ce ne accorgiamo dall’esplosione nell’ultimo minuto di “From Birth to The Grave”, devastante muro sonoro innalzato dopo quattro minuti di atmosfera malata, tra feedback e sporchi arpeggi ripetitivi.
Gli Eyehategod fanno capolino (come non potevano essere nominati?) nella ritmica di “A Promise to Make”, vero e proprio manifesto di delirio sonoro, tra samples, fantasie elettroniche e urla tanto laceranti quanto disperate.
I quattro minuti di “Offerande” non sono da meno: un unico riff ripetuto allo sfinimento viene rotto dal tempo che sembra dimezzarsi, ricadendo invece nel profondo baratro da dove era sorto.
Con “Ritual 1” ci troviamo di fronte ad un paesaggio sonoro che può ricordare quello dei mari in tempesta dipinti dai grandi Pelican, sebbene non ci troviamo di fronte ad un gruppo unicamente strumentale: ottimo uso della voce pulita, arpeggi puliti utilizzati in maniera tutt’altro che fuori luogo, nonché grandissima efficacia del contrasto tra questa e la seconda parte del brano, tra gli episodi più validi del disco.
Chiudono i dieci minuti di “Ritual 2”, aperta da una sezione in voce pulita dove vengono alla mente gli Opeth più eterei e onirici, per poi sfociare nella già sperimentata colata di rabbia e disperazione segnata da uno screaming lacerante.
In conclusione: il disco è consigliato a tutti gli amanti di qualsiasi sottogenere di metal estremo, nonché a chi apprezza lo stile descrittivo e ipnotico dei Pelican, senza dimenticare i fanatici dello sludge più sporco e tormentato.
Voto: 8.