(Kscope Music, 2014)
01. The Lost Song – Part 1
02. The Lost Song – Part 2
03. Dusk (Dark Is Descending)
04. Ariel
05. The Lost Song – Part 3
06. Anathema
07. You’re Not Alone
08. Firelight
09. Distant Satellites
10. Take Shelter
Dai tempi di Serenades e Silent Enigma di acqua sotto i ponti in casa Anathema ne è passata parecchia, sono trascorse due decadi e la loro musica con il passare del tempo è mutata di conseguenza. Quel che non è cambiato è il fatto che gli Anathema, anche con il trascorrere del tempo, restano una certezza, un punto fermo sul quale gli amanti delle loro opere possono sempre contare.
Distant Satellites arriva a soli due anni di distanza dal molto apprezzato Weather Systems ed è un nuovo viaggio emozionale totalmente da scoprire, ma questo non significa che sia un disco complesso o intricato, anzi, risulta decisamente lineare, facile da digerire e per tali motivi estremamente piacevole da ascoltare. Volendo parlare della nuova opera targata Anathema in maniera analitica, la si potrebbe dividere in due distinte metà; la prima, più massiccia, improntata principalmente su sonorità rock, la seconda, snella e conclusiva, che prende ispirazione da territori più sperimentali che affondano le loro radici in influenze decisamente più elettroniche. Procedendo con ordine, la prima metà del disco offre un ottimo incrocio tra rock sperimentale e sonorità gotico-romantiche, proposte con un approccio decisamente pop che non ho paura di definire ottimamente riuscito in quest’ambito. Brani come “The Lost Song” e “Ariel” dimostrano quanto gli Anathema riescano a creare canzoni con la “C” maiuscola, dotate del raro potere di insinuarsi prepotentemente nella testa pur offrendo una struttura semplice proposta con un sound avanguardistico (il che potrebbe apparire quasi antitetico). Ogni brano è ottimo da cantare e lasciar scorrere in sottofondo senza pensarci troppo, tuttavia, nonostante l’interpretazione vocale di Vincent Cavanagh e Lee Douglas sia piuttosto riuscita, le lyrics risultano, al contrario, alquanto scontate e banali, il che è un vero peccato, perché sicuramente il combo inglese avrebbe potuto fare di meglio sotto questo punto di vista, che in un album di questo tipo è un aspetto che non può essere preso sotto gamba. La seconda parte dell’album invece, seppur maggiormente sperimentale e sempre piuttosto godibile, risulta meno incisiva ed ispirata e, nonostante non la si possa di certo definire mal riuscita, chiude comunque l’album in maniera piuttosto fredda senza lasciare il segno.
In definitiva Distant Satellites conferma nuovamente gli Anathema come una band in grado di proporre album estremamente interessanti e suggestivi, ma qualche pecca lo porta ed essere solo (si fa per dire) un gran bell’album piuttosto che qualcosa che lasci davvero a bocca aperta.
7.0