(Prophecy Productions, 2012)
1. Music’s Like…
2. Bambini Piangete
3. Idiot Adult
4. Abuse
5. Catarctic Cartoons
6. The Enemy Inside
7. Melancholy Is Not Only For Soldiers
8. Loss And Love
9. Big Fake Brother
10. Wrong
11. Trentasette
Non è per fare del campanilismo, per far resuscitare la sfida infinita Italia – Francia (che poi a dirla tutta non c’è alcuna rivalità nel caso preso qui in esame) o per sfoggiare un patriottismo esagerato, ma ci sembra comunque importante dire che noi italiani certe cose le abbiamo sempre fatte meglio dei francesi. Ultimamente sembra che dall’altra parte delle Alpi esca fuori la musica più bella d’Europa, ma se si considera che il prodigioso filone death moderno si sta già esaurendo e che un filone “post-black-melodico” non è mai esistito, ci sembra che certa esterofilia attuale sia del tutto immotivata.
Tutta questa introduzione l’abbiamo fatta per porre alcune provocatorie domande: perché un gruppo come gli Alcest sta avendo sempre più successo dalle nostre parti quando la band di Neige, album dopo album, non fa altro che assomigliare sempre di più ai nostrani Novembre? E perché allora, dopo che sia Alcest sia Les Discrets hanno tirato fuori in quest’anno dischi molto al di sotto delle aspettative, noi italiani ci lasciamo sfuggire un progetto come Arctic Plateau, che grazie ad un’ottima conoscenza del genere e ad una buona personalità riesce nel non facile compito di arricchire con qualcosa di davvero sostanzioso quella scena romana che in ambito doom – post rock – shoegaze (ok, sembra un “ambito” vago ma così è, anche se non vi pare) ci ha regalato negli anni grupponi come Novembre, Klimt 1918, The Sun Of Weakness o The Foreshadowing, giusto per nominarne alcuni?
Non vorremmo creare confusione: negli Arctic Plateau, progetto solista del musicista romano Gianluca Divirgilio, di metal c’è poco, ma la provenienza ed alcuni elementi che compongono il sound di questo The Enemy Inside ci portano ad accostarlo ai progetti di cui sopra, nonostante le coordinate più azzeccate per “inquadrare” Arctic Plateau portino ad un ipotetico punto d’incontro tra Klimt 1918, Les Discrets e Talk Talk, tanto per citare gruppi lontani nello spazio, nel tempo e anche relativamente nel genere. Nei brani che compongono il disco, infatti, il post rock è presente solo nel senso più “antico” del termine, prelevato da un tempo in cui il termine in realtà probabilmente neanche esisteva, mentre ciò che è presente davvero in quest’opera, e in abbondanza, sono le melodie che s’intrecciano a non finire, un mood prevalentemente sognante, un’intimità impalpabile e allo stesso tempo una grande concretezza emotiva.
Probabilmente, ce ne rendiamo conto, parliamo di nulla. Ma è difficile descrivere in maniera semplice The Enemy Inside, probabilmente proprio per la stessa disarmante semplicità insita in esso: nella maggior parte delle tracce prende il sopravvento un azzeccatissimo gusto “pop”, che rende l’intero disco estremamente godibile in ogni suo momento. Certo, alcuni brani spiccano maggiormente (per noi soprattutto “Music’s Like…”, già presente in uno split coi Les Discrets, oltre che “Loss And Love” e “Wrong”), ma è una valutazione molto soggettiva, dato che la tracklist appare in generale molto uniforme e compatta, grazie ad una qualità media dei brani molto alta. Menzione speciale merita però la titletrack, pezzo che tradisce fortemente il background di Gianluca: i primi secondi ricordano addirittura i Mono, ma è il climax finale a colpire davvero, con i suoi espliciti richiami ai Novembre, dovuti anche alla presenza di Carmelo Orlando e delle sue inconfondibili screaming vocals (l’eterea voce di Gianluca è invece sempre pulita).
Il bello di The Enemy Inside è che, per quanto se ne possa parlare a lungo nelle maniere più disparate, rimane essenzialmente un bellissimo disco rock, potenzialmente adatto a tutti ma che può rivolgersi anche a quei metallari “pentiti” che attraverso certe band adesso piuttosto in auge hanno scoperto sonorità che in Italia abbiamo cominciato a rimaneggiare già diversi anni fa. Gianluca Divirgilio, come dicevamo, ha sicuramente ripreso questa tradizione, ma ha anche messo molto di suo (o meglio, del suo ampio background musicale, che supponiamo comprenda il metal ma anche tanto rock degli anni ’70 e ’80), facendo trasparire una sensibilità, emotiva e compositiva, davvero notevole, che come spesso accade è stata colta più all’estero che in Italia. Persino gli Anathema, pare, hanno scoperto questo talentuoso musicista e l’hanno scelto come supporter per le loro imminenti date italiane: continuare a ignorarlo sarebbe un delitto.
7.5