(Prophecy Productions, 2015)
1. The Arcturian Sign
2. Crashland
3. Angst
4. Warp
5. Game Over
6. Demon
7. Pale
8. The Journey
9. Archer
10. Bane
“Ritorno”, nella maggior parte dei casi, non è e non deve essere mera apparizione sulle scene dopo un periodo di assenza da qualunque ambito. Ritorno è sinonimo di rivalsa, riconsiderazione dell’io maturata appunto nei tempi di allontanamento, ed ancor più in ambito artistico un concetto del genere dovrebbe avere un significato dal più ampio respiro; ideale ricomparsa della sostanza ma anche dell’estro.
Si tratta sì di una premessa adattabile ad un qualunque boomerang d’artista, ma il contesto (perlomeno in questa sede) è ben altro: non si parla né di comete né di colossi riemersi dal fondo del mare destinati a sprofondare nuovamente, ma di un qualcosa che ancora una volta rifugge qualsiasi etichetta e plausibile definizione. A dieci anni di distanza da Sideshow Simphonies gli Arcturus rientrano in campo (a modo loro) con un disco che si pone come ideale sunto della personalità musicale e sintesi evo-involutiva di una band che non ha mai dovuto e voluto appartenere né tantomeno seguire un percorso lineare. L’ennesimo viaggio cosmico.
E’ giusto redarguire fin da subito i detrattori estremisti che dopo il comunque opinabile insuccesso delle Sinfonie, unico neo di una discografia brillante di luce propria, avevano deciso di voltare le spalle alla multiforme entità norvegese. La creatura prima di Garm (Ulver) e poi di Simen “ICS Vortex” Hestnæs si ripresenta avvolta da un’aura caratteristica, quel fascino slegato da ogni limite/ascrizione che tanto aveva fatto il suo successo ai tempi dell’indimenticabile Masquerade. Arcturian è pregno dello stesso respiro astrale, forse carente in parte di quella magniloquenza propria del lessico musicale dell’album menzionato poco fa, facendosi opera grande indipendentemente dalla qualità; che manco a dirlo è anch’essa piuttosto alta.
La sentenza musicale eseguita da Arcturian è classica in un senso particolare del termine: tra ariose orchestrazioni e atmosfere ora oscure ora solari vanno ad insinuarsi inaspettate bordate di sintetizzatori ed elettronica, portatrici di una piacevole ventata di freschezza. Per gioia di alcuni e somma disgrazia di altri il missaggio non si discosta dalla tradizione, affossando in buona parte il sempre eccellente lavoro dietro le pelli di Hellhammer in favore di un focus sui synth e sugli inserti atmosferici in generale, ponendo le chitarre, dovutamente ammortizzate, nel mezzo. Il ruolo da protagonista è però ritagliato da sé, per sé dal mai così istrionico Vortex: quasi a rassomigliare l’enigmatica figura tratta dal delizioso artwork, il singer fa della sua ugola strumento d’espressione principale di ciò che il disco intende rappresentare, con virtuosismi tenorali fusi a passaggi genuinamente ferali e ruvidi, il tutto sprizzante un’espressività complessiva che ha dell’onestamente schizofrenico. Ad ulteriore prova della bontà della performance in questione sembra quasi che da “The Chaos Path” a “Bane” sia passato qualche istante, non certo un arco di tempo di due lustri e più.
Il discorso è facilmente allargabile agli Arcturus stessi come complesso. Ricollegandoci a quanto detto in apertura è cosa buona e giusta notare come in questo caso il concetto di “ritorno” sia stato presente in ogni suo significato, avendo però dell’inusuale: Arcturian, più che nuova continuazione, rappresenta un efficace tentativo di superamento di antichi limiti.
8.5