(Gilead Media/Psychic Violence, 2013)
01. Oblivion’s Spring
02. Dirge
03. Purgation
Gli Ash Borer, a loro modo, sono già entrati nella storia. Quando, tra dieci anni, si parlerà della moderna ondata black metal, quella che ha saputo abbandonare i luoghi comuni del genere per poi combinarlo con noise e postcore, gli Ash Borer saranno tra i primi nomi citati. Nella storia del genere ci sono entrati con discrezione, pubblicando un demo e uno split (coi Fell Voices) che, contro ogni previsione, hanno fatto il botto. Migliaia di appassionati hanno atteso per più di un anno il primo vero passo verso la consacrazione dei cinque misteriosi americani: il full-lenght d’esordio non li ha delusi, e probabilmente non lo ha fatto neanche il secondo album, il primo con un titolo vero e proprio (Cold of Ages), che ha visto gli Ash Borer consolidare il proprio sound fatto di scudisciate black metal, arpeggi rarefatti ed atmosfere dark.
Cosa aspettarsi, dunque, da questo ep? Un’ulteriore evoluzione o un passo indietro, alla ricerca delle proprie origini? Sin dai primi ascolti, ci accorgiamo di come la verità, manco a dirlo, stia nel mezzo. Bloodlands, questo piccolo ep che passerà inosservato ai più, è qualcosa di realmente nuovo nella discografia degli Ash Borer: è in assoluto il più violento (e quindi il più tipicamente black metal) tra gli episodi che la compongono. I pregi e i difetti del sound dei quattro americani vengono ulteriormente amplificati e racchiusi all’interno di tre lunghi, lunghi pezzi. Ed eccoci quindi alle prese con i synth che introducono la ferale “Oblivion’s Spring”, anestetizzante nel suo incedere minaccioso, tra ritmiche martellanti e riff glaciali, ma capace di acquietarsi nella seconda parte, cristallizzandosi in progressioni atmosferiche stranianti. La formula è questa, e non cambia neanche in “Dirge”, vera e propria tempesta sonora che lascia inermi e impietriti.
Fin qui tutto bellissimo, insomma: tutte le caratteristiche principali degli Ash Borer condensate in tre pezzi. C’è un problema, però: come già accennato, non sono solo i pregi degli Ash Borer a risaltare, ma anche i difetti; difetti che, in Bloodlands, appaiono ulteriormente amplificati: e così, la statiticità delle composizioni diventa eccessiva, e a tratti si finisce quasi per annoiarsi. Fortunatamente sono solo momenti, perché quando i pezzi riprendono il volo – e lo fanno spesso in maniera vorticosa – le cose non possono che migliorare. L’amaro in bocca, però, rimane. L’impressione è che gli Ash Borer si siano un po’ arenati: sarà colpa loro, sarà colpa del genere che suonano, ma i timori che già con Cold of Ages alcuni avevano iniziato ad avere, con questo ep si sono concretizzati. Chiariamoci, Bloodlands resta un disco di valore, sicuramente superiore alla maggior parte delle altre uscite black metal di questo periodo: ciò non toglie che getti delle ombre – per ora soltanto accennate – sul futuro della band americana.
6.5