(Profound Lore Records, 2012)
1. Descended Lamentations;
2. Phantoms;
3. Convict All Flesh;
4. Removed Forms
Gli Ash Borer fanno parte di quella piccola scena underground esplosa da qualche anno a questa parte in America e nota col nome di cascadian a cui appartengono altri ottimi progetti come Panopticon, Fell Voices o Addaura, solo per citarne alcuni. Promulgatori di attività o filosofie di tipo “naturalistico” (non solo per quanto riguarda il nutrimento), questi gruppi hanno una forte base black metal accostabile ai primissimi Ulver a cui spesso e volentieri aggiungono un tocco personale che può andare da parti più crust, ad altre acustiche o ad altre ancora ambient. Coloro di cui qui ci occupiamo ne sono uno degli esempi di punta.
Attivi dal 2008, dopo aver partecipato ad un ottimo split con i Fell Voices, gli Ash Borer giungono ora al secondo album in studio dopo lo splendido disco omonimo dello scorso anno. Le carte in tavola sono le stesse, ma la ricerca musicale sembra approfondirsi sempre di più, dando vita a brani sempre più lunghi ed intricati in cui ogni componente può dire la sua (il basso si sente distintamente, cosa non da poco in un disco del genere). Nonostante un paio di cali di tono, il finale della burzumiana “Phantoms” per esempio, il disco scorre che è una bellezza fra ipnotici arpeggi e trascinanti cori (“Removed Forms”), crescendo alla Wolves In The Throne Room (“Descended Lamentations”) e un senso enorme di malinconia che riesce ad emergere con una facilità impressionante nei modi più disparati (“Convict All Flesh”, forse la migliore e la più completa di tutto l’album). Si sente da miglia di distanza che il black metal è uno degli ascolti e degli obiettivi principali del gruppo, ma in questo caso la sua violenza viene leggermente attenuata per cercare di rimpolpare ancora di più il proprio sound. Per fare un esempio si potrebbero paragonare due brani presenti nel precedente album: se in “In the Midst of Life, We Are In Death” era la violenza cieca a fare da padrone, Cold Of Ages si avvicina decisamente di più alla canzone conclusiva dell’omonimo disco, cioè “My Curse Was Raised In the Darkness Against A Doomsday Silence”, dove la velocità si amalgama senza problemi con parti più riflessive e crescendo vicini al post rock.
Cold Of Ages è sicuramente un altro centro, anche se leggermente inferiore ad Ash Borer, da cui pare emergere la linea evolutiva di questo gruppo. Linea evolutiva che sembra promettere grandi cose, pur rimanendo fedele al proprio marchio di fabbrica senza dover per forza inserire continuamente ed insistentemente elementi post che, francamente, iniziano a stancare in ambienti come questo.
7.0