Niente di nuovo sotto le stelle…
Il 2009 per gli August Burns Red è stato certamente un anno di iper-produttività. Hanno infatti partecipato a diverse compilation, realizzando cover (su tutte, una versione se possibile ancora più inquietante e paurosa dell’inno natalizio “Carol of the Bells”, che certamente ricorderanno tutti coloro che hanno adorato “Mamma ho perso l’aereo!”, rabbrividendo sardonicamente durante le scene della preparazione alla battaglia del piccono Kevin) ed impegnandosi negli ormai costanti tour. Tour che, per quanto non abbiano sostanzialmente nulla di nuovo da presentare, continuano a macinare successi dopo successi, rendendo l’attività del gruppo un lavoro a tempo pieno. E buon per loro, aggiungerei. Inoltre, i cinque provenienti da Lancaster, Pennsylvania, hanno provveduto a fare uscire sul mercato un EP, composto dagli outtakes del precedente successo, “Messengers” (mixato da Tue Madsen agli Antfarm Studios ), intitolato appunto “Lost Messengers: the Outtakes”.
Non ultimo, appunto, questo “Constellations”, che sin dal titolo premette e promette risultati stellari. L’idea generale, sin dall’inizio, è di trovarsi di fronte al nulla di nuovo. La sensazione di già sentito, aiutata e coadiuvata dalla netta somiglianza della voce del seppur buon Jake Luhrs con quella di Trevor Phipps (Unearth), facilita certamente questa equiparazione. I pezzi sono certamente coinvolgenti, anche se non al livello dei capolavori del genere. Così come siamo certi che, in sede live, il gruppo possa rendere eccellenti performance, aiutate anche dal periodico utilizzo di breakdowns nonché da notevoli e ben studiate accelerazioni (anche queste, fortemente influenzate dalle ultime composizioni di casa Unearth). Per il resto, la decisione di concentrare il proprio stile sempre e solo sulle parti in growling, senza mai scendere al compromesso del cantato melodico (compromesso che, peraltro, in alcuni casi avrebbe decisamente salvato alcune composizioni dal rischio di appiattimento generico) forse non è esattamente la scelta migliore che si potesse fare. Soprattutto in un mercato saturo di urlatori più o meno validi, a seconda dei casi.
Valide eccezioni allo standard possono essere ritrovate nel duetto con Tommy Giles Rogers (Between the Buried and Me) che, in “Indonesia”, per l’appunto sfrutta l’appeal di alcuni buoni cori in sottofondo. Nonché nella lunga suite quasi strumentale di “Meridian”, in cui un attimo di respiro viene regalato all’ascoltatore medio, talvolta meno preparato all’assalto sonoro costante esercitato da parte dei nostri. Il disco si conclude, dopo dodici tracce e poco meno di cinquanta minuti di durata, lasciando più di qualche ragionevole dubbio. Battere il ferro finché è caldo, al costo di realizzare album quasi fotocopia accostandosi così alla temuta concorrenza, o preservarsi per un futuro artisticamente più creativo? Gli August Burns Red, per ora, paiono aver scelto la prima strada. E il cielo, sopra di noi, è un po’ più nuvoloso.
Voto: 5