(Self-released/independent, 2011)
1. La Tormenta
2. Il Sentiero
3. Erebo
4. Il Bardo
5. Il Labirinto
6. La Rosa
7. Danza Del Crepuscolo
8. Tra Le Braccia Di Morfeo
Underground, suoni iconoclastici e produzioni spesso indipendenti stanno diventando (finalmente) una piacevole costante anche nella nostra penisola. I lombardi Bahal, come spesso capita in questo genere di releases (Necrolust, Distruzione di Massa), si fanno alfieri del verbo black metal e lo fanno con inserzioni spesso tradizionali ma a volte strane ed atipiche per il genere in questione. Diciamo subito che sono queste ultime inserzioni a rendere interessante questo loro terzo full length album, nonostante il genere non sia dei più inclini alla sperimentazione e, a parere di chi scrive, sono veramente pochissime le band che, anche a livello internazionale, siano riuscite in tale impresa (Emperor di seconda generazione e Arcturus su tutte).
L’album comincia con una intro classica ma già da queste note funeree è possibile estrapolare uno degli elementi menzionati che rende la produzione in questione unica: le basi elettroniche inserite dal master mind Marco Brivio (in arte Lord Bahal). E’ straordinario constatare come un semplice vento campionato possa rendere gelida, distaccata e molto evocativa una delle intro più gettonate che esistano. La maestria non solo tecnica (ascoltare l’assolo della bellissima “Il Labirinto” per credere!) ma anche compositiva la si può constatare anche nei tanti, ma mai abusati, elementi melodici presenti in gran parte dell’album, come nella chiusura di “Erebo” che tanto ricorda gli Opeth del periodo successivo a Still Life , oppure nella intro celtica “Il Bardo”. E’ veramente necessario insistere su tali inserzioni melodiche di chitarra classica per capire il valore aggiunto dell’album, non tanto per l’appropriata scelta di note e di arrangiamenti, quanto per il saper creare un’evocatività post apocalittica dal retrogusto che quasi ricorda la colonna sonora di un film western crepuscolare (come gli Spietati del grande Clint Eastwood). Se a ciò si aggiungono anche cambi tempo dalla matrice progressive rock, delle liriche raffinate e rigorosamente in italiano, possiamo constatare, senza ombra di dubbio, che l’album in questione sia tranquillamente inseribile nella ristretta cerchia del black metal di seconda generazione: quello avant garde.
Un album sorprendentemente maturo, a cui si possono perdonare anche dei suoni di produzione non perfettamente impeccabili da rendere pienamente giustizia ad un risultato finale difficilissimo ma ampiamente raggiunto.
7.5