
(Debemur Morti Production, 2011)
1. Epitome VII
2. Epitome VIII
3. Epitome XI
4. Epitome X
5. Epitome XI
6. Epitome XII
7. Epitome XIII
La storia del black metal dimostra quanto, in questo genere, la forma sia decisamente più importante del contenuto: le band sorte dalla seconda ondata in poi ricalcano perfettamente lo stile e l’insieme di caratteristiche che oggi vengono riconosciuti come canoni dello stesso, portando ad una estrema codificazione delle norme compositive.
Collateralmente la sperimentazione è sempre stata presente, accettata o meno, tra picchi di puro genio ed esperimenti falliti: dalla grandiosa “epicità” degli Emperor, alla più tardiva svolta heavy di Fenriz e Nocturno Culto, dalle commistioni folkloriche a quelle elettroniche/avantgarde, senza dimenticare i mutui scambi di vedute col death metal più classico.
Tutto questo può funzionare in un genere rigorosamente codificato come il black metal? Certo, la risposta la danno album dallo status di capolavori, e l’ultima opera dei francesi Blut Aus Nord ne è la riprova.
The Desanctification rappresenta la profondità degli abissi, un viaggio interstellare dalle tinte più scure; allo stesso tempo conserva un fascino evocativo nascosto nelle melodie che affiorano di tanto in tanto, tra le crepe del robusto muro sonoro eretto dalla band.
Si respira un’atmosfera incontaminata e allo stesso tempo chimica, a volte pura, più spesso venefica: le fughe industrial si realizzano in moduli ripetitivi dal timbro grave, nel territorio dove il suono comincia la metamorfosi in semplice vibrazione.
Siamo lontani anni luce dal concetto di black metal così come lo conosciamo: d’altra parte i Blut Aus Nord, allo stato attuale, possono essere considerati come una delle band più rappresentative di quel black metal borderline, in bilico tra regola e trasgressione, che tra il pubblico di appassionati significa culto o totale rigetto; al contempo sfido chiunque a trovare una definizione più azzeccata per le atmosfere di zolfo di “Epitome XI” o per l’insano nichilismo di “Epitome VIII”.
Sarebbe quasi lecito parlare di influenze doom (ascoltando “Epitome XIII”, ad esempio), ma subito ci rendiamo conto di quanto questo possa risultare forzato: le atmosfere dilatate, l’aria grave che si respira rappresentano quasi la meccanicità dell’azione, come se letteralmente i brani fossero suonati da macchine precedentemente programmate, annullando ogni forma di calore e attaccamento umano.
Il mood escatologico, estremamente deumanizzato, è la chiave di lettura che permetterà la piena comprensione dell’opera: c’è un rovesciamento, dal momento che nel black metal si è sempre cercata la spontaneità, sia in sede di registrazione sia dal punto di vista strumentale.
In conclusione: ci troviamo di fronte ad un buon disco dall’alto tasso perturbante; per una volta aggettivi come “freddo”, “meccanico”, “inumano” o “ripetitivo” devono essere intesi con accezione positiva, altrimenti vi è il rischio di non comprendere l’arte della band francese.
Consigliato a quasi tutti, sconsigliato a chi non considera black metal tutto quello che si trova oltre la cortina innalzata da Endstille e Satanic Warmaster.
7,5