(NoiseArt Records, 2013)
1. Fear of Wonders;
2. Swordbearer;
3. Flaming Pride and Inexorable Defiance;
4. Walk on Pagan Ways;
5. Archai Pale Visions;
6. Throne of Crows;
7. Moonlight Wanderer
8. Equinox;
9. The Spiral Path;
10. Fiery Golden Dawn;
11. Towards the Golden Halls;
12. Feast of fire (bonus)
13. Valhalla (Bathory cover)
I Bornholm sono un quintetto ungherese attivo da poco più di una decina d’anni il cui nome deriva da un’isoletta situata a sud della Svezia, i cui abitanti pare abbiano deciso di unirsi alla religione e ai popoli pagani ungheresi dopo un lungo viaggio di esplorazione. A livello discografico Inexorable Defiance è il terzo album ufficiale, preceduto da uno split con i francesi Nydvind e dal demo d’esordio Awakening Of The Ancient Ones.
Fautori di un black metal molto melodico e atmosferico, i nostri sembrano aver riscosso un buon successo sin dai tempi del primo disco, che li ha portati ad aprire i concerti di gruppi del calibro di Enslaved, Arcturus o Mayhem, oltre che a girare un vero e proprio videoclip per il brano “Acheron” nel 2004. Effettivamente, pur non essendo la loro proposta particolarmente originale, col proseguire degli ascolti i riff e i brani risultano particolarmente accattivanti e catchy, pur peccando spesso di un’eccessiva dose di melodia a discapito della componente più violenta del proprio sound. Brani come “Swordbearer”, “Moonlight Wanderer” o “The Spiral Path” uniscono strutture decisamente più metal sorrette da una potente componente di tastiere, un po’ alla Emperor o Limbonic Art, con passaggi di stampo più epico e quasi viking che vengono ampliati ulteriormente in “Towards the Golden Halls”, “Fiery Golden Dawn” o “Walk on Pagan Ways”: in questi frangenti saltano all’orecchio grossi rimandi ai Sear Bliss e magari ai Moonsorrow nei loro momenti meno folkeggianti. Tralasciando un paio di intermezzi strumentali che sembrano essere stati inseriti più che altro come filler e dei suoni davvero troppo puliti per il sottoscritto, il disco si lascia ascoltare senza particolari alti o bassi a parte per un fatto: la cover di “Valhalla” dei Bathory, tranne che per i cori nel ritornello, non si può proprio ascoltare.
Concludendo possiamo dire di trovarci di fronte ad un dischetto con più lode che infamia, che probabilmente non sarà ricordato troppe volte fra qualche anno, ma che ora come ora si lascia ascoltare senza troppi problemi. Particolarmente indicato per chi apprezza quella dose di epicità unita agli aspetti del black metal più melodico degli ultimi gruppi che sono stati prima citati, Bathory a parte.
7.0