01. Rue D’Auseil
02. Blind Fiends Of The Ancient Evil
03. From The Unsafe Shrines Cometh The Abyss
04. Plate XII
05. Encephalitic Cyst
06. Let The Vultures Sing Our Deeds
07. Closing The Gates
08. Premature Burial
09. Visceral Breeding Army
10. Promised UnHeaven
11. The Sleep Of Inanna
12. Manifest Of Chaos
13. Glory To My Enemy
Non c’è nulla da fare, i migliori siamo noi. E no, non parliamo di calcio, signorine facili, spettacolini televisivi e associazioni a delinquere; parliamo di death metal. Non si vuole scadere in un bieco “nazionalismo” di dubbio valore, in un’esaltazione di se stessi, qua parliamo di realtà. L’Italia, e il suo baratro esistenziale che da un ventennio (forse da sempre) l’affligge, producono creature di lovecraftiana memoria, soprattutto nel caso dei Crawling Chaos: l’abisso è ancora una volta l’Emilia Romagna, l’abominio si chiama Repellent Gastronomy, le vittime siamo noi.
I Crawling Chaos ci deliziano in tredici episodi, una intro e dodici pezzi, che all’insegna del death metal dal groove eccezionale e soluzioni ragionate ci relegano nella parte della nostra mente più ferina e primordiale, come solo i maestri floridiani, ad oggi dispersi, sapevano fare. In realtà, qui non si presenta propriamente nulla di nuovo: fra le realtà di Tampa e quelle di Stoccolma le influenze presenti sono facilmente individuabili, e le citazioni dal nostro autore preferito di Providence unite a rimandi mitologici mesopotamici ed egiziani costituiscono in un certo senso la “prassi”, la confezione ormai classica di un disco death metal. Eppure noi non ne siamo mai stanchi, soprattutto se ad una presentazione classica si accompagna un contenuto esaltante come quello in questione.
Inutile dire che il concetto di evoluzione dunque è qui assente, ma francamente tale aspetto è del tutto trascurabile: Repellent Gastronomy è un disco trascinante, prodotto bene, suonato egregiamente, e dal vivo il gruppo si fa valere senza alcuna esitazione. Che gli italiani prendano coraggio e affrontino lo sguardo dell’abisso che essi stessi hanno contribuito a creare. E basta con ‘sta sudditanza esterofila, fatevi un giro in Emilia Romagna: potreste scoprire che innanzi a tanto pattume proposto dalle label di fama internazionale, il disco più bello potrebbe averlo fatto il vostro vicino di casa.
8.0