(Sumerian Records, 2014)
Tracklist:
1.Wasteland
2. Rapture in Exile
3.The Misery We Make
4. Infinite Eyes
5. Futurist
6. The Great Oppressor
7. Anti-Axis
8. By The Starlight
9. Lost for Life
10. The Goddess Figure
11. Beneath the Blackening Sky
12. Hypatia Rising
13. Departue
Ogni disco va preso per quello che è, ma diventa troppo difficile distogliere lo sguardo da chi compone certe opere. Fa male ultimamente ascoltare certe “robe” (il termine non è casuale) e trovare a fianco nomi importanti. Alcuni invece continuano senza sosta nel loro cammino, portando avanti i motivi che bene o male li hanno spinti a suonare. C’è chi lo fa montandosi la testa e creando un’aura di “super-io”, altri invece che in sordina portano alla luce sempre degli ottimi lavori: è il caso di questo omonimo ottavo album dei californiani Darkest Hour.
La loro miscela melodic death con qualche spruzzata di -core ha sempre fatto successo pur non entrando con omaggi nell’Olimpo del Metallo. I ragazzi non si sono certo disperati per questo e ora li ritroviamo in questo piovoso 2014 con un disco intitolato Darkest Hour per l’appunto, come per sancire il fatto che finora non hanno mai svoltato le spalle ai propri fan ma soprattutto a loro stessi. In questo episodio discografico troviamo dietro le pelli Travis Orbin (ex-Periphery), che senza particolari problemi esegue al meglio il lavoro inserendo ottimi fill. A reggere il moniker Darkest Hour dal ’95 rimangono Mike alla chitarra e John alla voce, nessuna paura quindi per gli affezionati.
Il disco si mantiene su livelli incessanti e particolarmente vari nei riff per le prime sei tracce, che scivolano nelle nostre orecchie senza nessunissimo problema. Risalta soprattutto “Futurist”, dotata di un’energia trascinante; diciamo una traccia à la As I Lay Dying degli ultimi dischi, ma decisamente strutturata meglio e più piacevole all’ascolto, soprattutto grazie alle doti canore di John. Un’aria più malinconica ha “The Misery We Make” alla posizione #3, traccia però molto piacevole e piena di pathos. Di un certo impatto sicuramente è il missaggio, che pur essendo moderno riesce a non cadere in quei suoni finti ed elettronici che affliggono i lavori di molte band odierne. Una batteria profonda ma nel contempo secca, chitarre violente con una buona dose di volumi medi riescono a graffiare nel giusto modo i nostri timpani lasciandoci un ascolto pieno e soddisfacente. Continuando a parlare di questo Darkest Hour possiamo trovare altri brani di un certo rilievo, come l’ottava traccia in scaletta “By the Starlight”, con una preziosa featuring di Draemings, che a parer mio assume il ruolo di canzone più melodica dell’album senza comunque trascurare dalla metà in poi la parte cattiva. Da qua in avanti è una perfetta escalation di brutalità e violenza sonora classica targata Darkest Hour, con episodi notevoli come “Lost for Life” o la successiva “The Goddess Figure”.
Tirando le somme tutto sommato non si può far altro che accogliere a braccia aperte questo disco, che potrebbe far acquistare alla band nuovi fan. Di certo non stiamo ascoltando il disco dell’anno e nemmeno dobbiamo considerare questo lavoro come manna dal cielo, semplicemente i Darkest Hour non deludono le aspettative. Un ascolto quindi non lo si può negare.
7.5