(Profound Lore Records , 2012)
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI
7. VII
8. VIII
9. IX
Due anni fa, il mondo ha improvvisamente scoperto chi era Chris Black. Soprattutto, l’ha scoperto chi non ha l’abitudine di spulciare con curiosità il booklet di un cd appena comprato, o chi non compra proprio i dischi e s’informa solo su Wikipedia. Chris Black è l’uomo dietro al grande successo dei Nachtmystium, colui che ha scritto insieme a Blake Judd testi e musica del gruppo a partire da Instint: Decay, l’album che ha consacrato la “psychedelic black metal” dell’Illinois confermatasi poi su alti livelli coi successivi Assassins e Addicts (a proposito: a breve esce il nuovo disco, a quanto ci risulta senza il contributo di Black… vedremo cosa salterà fuori). Aggiungete che il geniaccio in questione se ne stava pure in cabina di regia insieme a Sanford Parker e, senza nulla togliere alle grandi abilità di Judd, capirete perché certe cose hanno cominciato ad girare per il verso giusto in casa Nachtmystium.
Stiamo divagando, lo sappiamo, ma solo così forse avremmo attirato l’attenzione del distratto lettore, a cui altrimenti il nome Dawnbringer avrebbe detto probabilmente poco. Dalle nostre parti, infatti, la grande scoperta che il resto del mondo ha fatto due anni fa è passata abbastanza inosservata. La band in questione è nata nel lontano 1995, e nei dieci anni seguenti ha rilasciato tre album, più o meno belli, ma generalmente poco considerati; poi Black ha messo in letargo la sua creatura per dedicarsi a più noti progetti, salvo poi tornare sui suoi passi proprio nel 2010, col monumentale Nucleus, opera sorprendente e inaspettata, molto immediata ma anche di difficile catalogazione, con la quale il compositore americano sembrava voler illustrare la vastità del proprio background musicale e in parte mostrare su cosa poggiava le basi il Nachtmystium-sound (con meno progressive rock però). L’album era infatti un efficace connubio di heavy metal classico inglese (ovviamente ci riferiamo a Black Sabbath e Iron Maiden), sprazzi di black metal norvegese e quella miscela di black e psichedelia che anche attualmente solo gli Enslaved e gli stessi Nachtmystium (e in parte l’Ihsahn solista) sanno maneggiare alla perfezione.
Con ancora nelle orecchie quel discone e le emozioni che ci aveva provocato (“All I See” ci mette tutt’ora i brividi), ci siamo accostati con grande curiosità a Into The Lair Of The Sun God, nuovo parto dei Dawnbringer che inaspettatamente esce a soli due anni di distanza dal suo predecessore per la Profound Lore Records, label che sembra davvero ci stia prendendo gusto a raccogliere attorno a sé l’intellighenzia del black sperimentale mondiale. Tuttavia, possiamo dire senza mezzi termini che questo nuovo album non è all’altezza delle aspettative che, almeno noi, c’eravamo fatti: in una sola parola, potremmo facilmente definirlo “manieristico”. Lo stile delle composizioni è certamente quello di Nucleus e il mood heavy metal anni ’80 anche, così come pure l’altalenante ritmo diviso tra rallentamenti doom classici e cavalcate quasi thrash, ma manca quell’arroganza che contraddistingueva l’album precedente.
Sembra che il buon Chris abbia deciso di rimettersi gli occhialini da psychoblacknerd e scrivere un lotto di canzoni più ragionate, ma in realtà la tracklist, escludendo qualche pezzo molto immediato e coinvolgente (“V”, “VI”), sembra una raccolta di outtakes provenienti dalla sessione di registrazione precedente, senza però l’irruenza che si poteva sentire allora; irruenza soprattutto vocale, dato che era proprio l’incredibile prova al microfono di Black uno dei punti di forza di Nucleus, tanto che si arrivava facilmente a chiedersi perché Blake Judd cantasse ancora nei “nuovi” Nachtmystium con un’ugola tanto potente ed efficace al suo fianco. Per carità, qualche spunto buono c’è, e i brani risultano comunque divertenti per i nostalgici degli anni ’80, ma gli ascoltatori più esigenti probabilmente troveranno pane per i propri denti solo verso la fine della tracklist, nei pezzi in cui l’estro creativo del compositore offre qualche passaggio più ispirato (“VIII” e “IX”, nonostante l’atmosfera ottantina sia sempre parecchio ingombrante).
Forse, viste le esperienze precedenti, il buon Chris aveva paura di uscire troppo velocemente fuori dal “mercato” e dalla memoria (sempre piuttosto corta) dei metallari di tutto il mondo, o semplicemente ci aveva preso gusto dopo il successo goduto (in patria) con la pubblicazione di Nucleus; di sicuro, quest’uomo non ci sembra il tipo che si mette a scrivere dischi “a tavolino” solo per battere il ferro finché è caldo. Semplicemente, Black ha provato ad osare un po’ di più, a calcare la mano, ma probabilmente l’ha fatto nel modo sbagliato e da uno come lui bisogna pretendere sempre il meglio. Se avete amato l’album uscito due anni fa, date una possibilità anche a Into The Lair Of The Sun God, tenendo però bene a mente i nostri avvertimenti; potreste comunque trovare quaranta minuti di divertimento che appaghino i vostri sensi. Per tutti gli altri invece, date un ascolto a quell’altro discone per giudicare se i Dawnbringer fanno al caso vostro.
6.0