(Ultimhate Records, 2011)
1. Last Murder
2. Eyes Of Medusa
3. Predator
4. From Ashes To Dust
5. Denied
6. One Last Breath
7. The Truth
8. Everything Into Nothing
9. Redemption Of The Dreamer
10. Light On This Earth
I bolognesi Disease Illusion arrivano finalmente all’esordio discografico con questo Backworld, edito da Ultimahate Records, che segue il fortunato EP Reality Behind The Illusion Of Life targato 2008.
I nostri, forti di una consolidata e duratura esperienza live che li ha visti fare da spalla tra gli altri a band del calibro di Aborted, Bleeding Through e Dying Fetus, riversano tutta la loro maestria sugli strumenti in un primo capitolo discografico davvero notevole.
L’influenza principale, che si nota sin da subito, è quella del Gothenburg sound tanto caro a primi In Flames e Dark Tranquillity unito ad una buona dose di tecnica che tanto manca a molte delle band che sommergono ormai un mercato molto inflazionato come quello della musica metal.
”Last Murder” è il primo pezzo del lotto: arpeggi tipicamente swedish si intrecciano a linee vocali in screaming che strizzano l’occhio a quelle di Marcus Bischoff degli Heaven Shall Burn, che risulta essere una influenza più che marginale per il cantante Fabio Ferrari; “Eyes of Medusa” e la successiva “Predator” non lasciano scampo all’ascoltatore, tenendolo sempre all’erta con un gusto nelle soluzioni stop n go davvero sublime: i nostri non si limitano mai a suonare a velocità supersoniche, ma sono fautori di rallentamenti (da non fraintendere coi soliti breakdown) molto ricercati.
L’unione quindi di momenti molto estremi ad alcuni sul limite della claustrofobia e del doom rendono questo Backworld un lavoro sincero dove molti dei clichè metal per eccellenza vengono messi da parte a favore di un gusto così “old” raro da ritrovare in bands che sfornano album nel 2011.
Pathos, potenza e melodia sono sempre al centro di questo disco e sono sensazioni che non possono non essere notate nell’ascolto di pezzi come “Denied” e “The Truth”, dove l’alone tipicamente nord europeo del loro sound trova l’apice dell’espressione nei cambi di ritmo e in una produzione ottima. Specie in lavori “complessi” come questo essa gioco un ruolo fondamentale, in quanto i riff intricati di chitarra devono unirsi in maniera perfetta ai fill di batteria e risultare omogenei per poter donare al tutto una dimensione reale e non suonare di “plastica”.
Se vi è una pecca è forse quella che alla lunga i ragazzi emiliani tendono a calcare la mano su soluzioni fin troppo fini a se stesse, si tendono a ripetere, e la cosa si nota specialmente dopo qualche ascolto più approfondito, ma questo non è di certo un motivo per dare un voto negativo ad un lavoro come il loro.
Nonostante tutto, i nostri sono solamente al secondo lavoro in studio e siamo certi che col passare del tempo e con l’esperienza che acquisiranno concerto dopo concerto, sapranno limare anche qualche piccola imperfezione dovuta all’essere così derivativi.
7