(Altsphere Productions, 2010)
1. U tugu zagledan (Intro);
2. Novi Dan;
3. Olovo i sjene;
4. Prolaznost;
5. Moje meso;
6. Onako kako samo ona zna;
7. Pod plamenom (Instrumental);
8. Pred beskrajem;
9. Kiša;
10. Tinta (Instrumental);
11. Namjere;
12. Vakuum duša
Per qualche tempo Deadweight Loss (monicker forse più azzeccato) poi (drama) sin dal 2004, questi cinque ragazzi provenienti dalla Croazia esordiscono nel 2010 con Zastor Tišine, il loro primo album, avendo alle spalle un solo demo uscito ben quattro anni prima e un’altra piccola uscita prima che cambiassero nome. Scelta azzardata, ma molto particolare, è quella di usare la propria lingua madre per tutte le canzoni oltre che servirsi di intermezzi strumentali a base di chitarra acustica che vanno ad alleggerire l’ascolto del disco (soprattutto nella parte finale, fra brani che superano tutti i sei minuti di lunghezza).
Di genere difficilmente definibile, i (drama) sicuramente fanno del doom il proprio punto cardine, senza inoltrarsi nel difficile e catacombale filone funeral e men che meno verso territori più death o sludge, nonostante capiti di vederli etichettati in tal modo. Tecnicamente la prova fornita dai cinque componenti non presenta sbavature o errori, pur essendo in un ambito che fortunatamente non include o necessita virtuosismi di alcun tipo; su tutti spicca il cantante Marko Amižic che forte di un growl ben scandito e senza cali, si diletta anche in passaggi in pulito decisamente meno facili da proporre (come nella conclusiva “Vakuum Duša”, in “Prolaznost” o ancora in “Onako Kako Samo Ona Zna”). In generale l’album si lascia ascoltare senza troppe difficoltà, senza però presentare picchi assoluti o momenti indimenticabili, ed è questa linearità che non lo fa decollare come dovrebbe: le soluzioni, pur non essendo scadenti, si ripetono abbastanza spesso, per cui si hanno parti più vicine ai My Dying Bride intervallate magari da stacchi acustici un po’ a là Opeth, per poi giungere a riffs dal ritmo più serrato e dal sapore decisamente più metal, soprattutto nelle parti conclusive delle canzoni (“Prolaznost”, “Namjere” o “Novi Dan”). Forse non è il miglior complimento che un gruppo possa ricevere, ma i brani che più colpiscono sono quelli più atipici o quelli scelti come intermezzi: per esempio “Tinta”, che ricorda vagamente i Tenhi, o l’iniziale “U Tugu Zagledan”, una triste litania condotta dagli archi e dalle fisarmoniche che vi compaiono, pur lasciando intravedere uno sprazzo di serenità. Menzione speciale per “Onako Kako Samo Ona Zna” totalmente acustica ed in pulito, con anche la partecipazione di una bellissima voce femminile.
Zastor Tišine, quindi, non si può definire un brutto disco, ma la monotonia del songwriting incide parecchio durante l’ascolto dei brani, gli episodi migliori sono infatti quelli che si discostano dalle caratteristiche più evidenti e comuni dei (drama). Un ascolto è comunque consigliato, ma nel mare delle odierne uscite (doom e non) sarà difficile riuscire a ricordarsi di questi ragazzi croati.
6.0