13 Agosto 2009 – Costo: 15 euro
Giungere nella zona di un locale rock/metal ed essere circondati da un sottofondo di fisarmoniche da parco giochi e famigliole intente a godersi giustamente un giovedì sera estivo che precede il ferragosto romagnolo, non è esattamente la migliore maniera per cominciare un concerto. Trovare, in fila all’entrata, un numero di persone nettamente inferiore a quello presente nella suddetta area relax per famiglie di turisti, ancora meno. Tuttavia, questo c’è e a questo ci adattiamo. Quindici euro più tardi (non segnalati in alcun luogo terreno o telematico, se non direttamente alla cassa), l’interno del Rock Planet di Cervia si rivela vagamente più pieno di quanto non prospettasse la zona esterna, e la serata può cominciare.
Alle 22:20 i Casey Jones salgono sul palco. Davanti a loro ci sono forse poco meno di cento persone, ma sono ancora disperse nel locale, e la pista è frequentata solo da qualche temerario danzatore. Al grido di “Good evening, we’re Casey Jones, this is probably the first and only time we’ll play here” la band presenta i brani contenuti negli ultimi 2 album. Il fatto che un gruppo che non pubblica canzoni (e, pertanto, nessun album) da circa 3 anni, venga scelto per andare in tour, è presto spiegato: il cantante, Josh James, è anche il chitarrista degli stessi Evergreen Terrace, ed i Casey Jones sono tutto sommato considerati come un side-project. Inoltre, come verrà spiegato dallo stesso James nel corso della serata, il batterista degli Evergreen Terrace si è reso protagonista di un grave incidente che lo obbliga al riposo forzato, e la scelta di sostituirlo temporaneamente con quello dei Casey Jones (ex-roadie) è sembrata la più comoda e sensata. I brani scorrono veloci, ed il dialogo con il pubblico viene cercato più volte, anche se non sempre con grandi risultati. In compenso, la presenza di due ragazzi americani fra il pubblico (decisamente non brilli, data la tenuta da “straight-edge warriors” d’ordinanza, ma sicuramente alquanto maneschi ed esagitati) movimenta un minimo le cose. Le hit principali del gruppo ci sono tutte, e le occasioni di sbandierare il loro amore per il movimento che rappresentano sono numerose (“No Donnie, These Men Are Straight Edge”, “Know This X”, “Strike Hard”). Le differenze rispetto al disco sono poche, e nonostante il poco tempo a disposizione il gruppo non si sottrae alla richiesta di un pezzo finale che vada a chiudere ancora più degnamente la prestazione. L’esecuzione della cover-manifesto “Minor Threat” suggela la serata e dà il via alle procedure di cambio palco. Venticinque minuti per una decina di pezzi onesti e passionali.
Alle 23:10 ecco profilarsi sul palco gli headliner della serata. La gente si accalca sotto il palco, anche se va detto che i già citati ragazzi statunitensi fra il pubblico fanno il loro meglio per tenerli lontani, dimenandosi in un moshpit sin troppo violento. Moshpit che, durante il live, darà non pochi problemi al pubblico in pista. Tanto da convincere un Matt Cabani (organizzatore della serata e gotha di Hellfire Booking) ad impugnare una sedia pieghevole e, in combutta con un non meglio identificato redattore della stessa webzine che state leggendo (Ico), creare una sorta di barriera di fine pista, che possa difendere i fonici al mixer. Musicalmente, il gruppo è forte del successo di “Wolfbiker”, album uscito nel Luglio 2007 e, ancor di più, del successo mondiale di “Sincerity is an Easy Disguise in This Business”. Ed è proprio con un estratto da quest’ultimo che la band comincia la propria performance. A livello tecnico, invece, qualche imprecisione dietro le pelli e qualche mancanza di cori melodici (ove, invece, presenti su disco) vanno a penalizzare, seppur minimamente, la prova. Un punto a favore, invece, è sicuramente dato dal singolo del nuovo album, “Almost Home”, il quale è eseguito con una rabbia ed una resa piuttosto rara. Se molti dei nuovi brani saranno orientati sullo stile di questo “Enemy Sex”, allora il nuovo album potrebbe essere un nuovo punto di svolta per la band di Jacksonville, Florida.
Dopo poco più di quaranta minuti (e, anche in questo caso, un bis su forte pressione del pubblico), le luci centrali della pista si accendono e fanno capire ai presenti che la serata è finita. Due concerti piuttosto brevi, anche se giustificati dal genere e dalle difficoltà avute dai due gruppi, a corto di membri e con l’obbligo di imbarcare meno gente possibile per contenere i costi di un tour che, nonostante tutto, sta riscontrando buoni risultati in giro per l’Europa. La conclusione la lascio alle parole dei gentili turisti americani, i quali uscendo dal locale hanno cordialmente dichiarato: “tonight we taught you how to mosh hard, you bastard Italians”. Chapeau!