(Housecore Records, 2014)
01. Agitation! Propaganda!
02. Trying To Crack The Hard Dollar
03. Parish Motel Sickness
04. Quitter’s Offensive
05. Nobody Told Me
06. Worthless Rescue
07. Framed To The Wall
08. Robitussin And Rejection
09. Flags And Cities Bound
10. Medicine Noose
11. The Age Of Bootcamp
Le urla di un redneck che sta affogando strafatto nelle paludi della Louisiana e il colore della pelle di Mike Williams, sempre più approssimante al bianco cadaverico, roba che manco George A. Romero o Paul Savini han saputo rendere così bene su uno schermo… Un accostamento che mi intrippa parecchio. Sarà un caso? Parafrasando il detto ‘quel che non t’ammazza ti rende forte’, allora ciò che l’uragano Kathrina non ha spazzato via quasi dieci anni fa è rimasto in piedi a gracchiare visioni d’inferno in terra aggrappato ad un microfono manco fosse un salvagente. E forse proprio la musica deve ringraziare il frontman degli Eyehategod se oggi è ancora qui tra noi a barcollare spettrale su un palco. Ma qui non si parla di morti viventi. Qui si parla di carne viva che pulsa, e di brutto, anche se un po’ consumata dal tempo e fiaccata da qualche abuso di troppo.
Sì, perché a fine maggio il mefitico quintetto sudista è riemerso dal fango del Mississippi e ha letteralmente cacato fuori il suo quinto disco sulla lunga distanza. Purtroppo il fango si è prematuramente preso Joey LaCaze, il pilastro ritmico di tanto sfacelo, ma non gli ha comunque impedito di impreziosire il lavoro, il primo in quattordici anni di silenzio discografico. I suoni non son certo freschi ma l’effetto “grana-grossa-stile-mola-da-fabbro” e gli umori neri e tumefatti come la sfumatura media delle occhiaie della triade Williams-Bower-Patton, per quanto prevedibili, non smentiscono la genuinità del prodotto. Gli Eyehategod sono e sono sempre stati l’equivalente in musica del distillare dixie whiskey in un capanno o ricavare metamfetamina dallo sciroppo per la tosse nel cortile dietro casa, il risultato intossicante di chi il genere/mestiere, più che scopiazzarlo da altri, se l’è inventato in solitaria e ne è uscito con un brevetto ruvido ma così genuino che volutamente non l’ha voluto perfezionare. Messa da parte ‘l’originalità’ del titolo, ciò che convince ma allo stesso tempo non sorprende di questo nuovo disco è il rigore marziale col quale gli Eyehategod si sono ripetuti rimanendo fedeli al proprio sound e immaginario. Sembra non sia passato un solo mese da Confederacy Of Ruined Lives, mentre di acqua sotto ai ponti, di quella sporca, ne è passata molta. Le intenzioni punk di “Agitation! Propaganda!” aprono le danze con un bel tùpa-tùpa che sfocia nel classico riff di pentatonica sabbathiano tanto caro ai nostri, ma già a partire da “Trying To Crack The Hard Dollar” si ritorna a masticar carne putrida col mid-tempo marchio di fabbrica degli americani. Ulteriori rallentamenti occupano quasi per intero il terzo brano e ben rendono il concetto espresso dal titolo (“Parish Motel Sickness”). Un fetore di ZZ Top zeppi di crack sembra sopraggiungere dalla stramba e quasi melodica “Quitters Offensive”, mentre le influenze di Iommi e soci (periodo d’oro Paranoid-Masters Of Reality) ritornano ingombranti sia su “Nobody Told Me” che su “Worthless Rescue”, due pezzi che nonostante tali somiglianze si dimostrano ben articolati e vari rispetto alle sonorità alle quali il combo di New Orleans ci ha abituati. Si ritorna quindi al punk rudimentale con “Framed To The Wall”, ma la solfa non dura molto e la lancetta del tachimetro crolla per riassestarsi nuovamente su velocità bradipee con “Robitussin And Rejection” e soprattutto “Flags And Cities Bound”, i cui sette minuti abbondanti a base di feedback, spoken word e riff ripetuti segnerebbero con classe un ipotetico finale, lasciato invece alle restanti “Medicine Noose” (pezzo che nella prima metà tira davvero alla grande) e “The Age Of Bootcamp”.
I suoni appena ovattati delle chitarre – che mordono un po’ meno ma snocciolano riff assai più intellegibili – e di poco ritoccati in fase di compressione (sentite come suona in modo naturale la batteria sulla coda di “Worthless Rescue”, tanto per capire) sono il segnale positivo che anni di distanza da uno studio non hanno intaccato le sane abitudini soniche dei nostri, tra le poche sane abitudini da loro mai possedute. Non si può certo urlare al miracolo e tantomeno eguagliare un Dopesick per intensità, ma il disco, forse meno depresso dei precedenti e per questo meno incisivo, sta comunque ad un gradino di dinamicità sopra ai suoi predecessori. La cosa fantastica è che nonostante la ripetizione del canovaccio gli Eyehategod continuano ad affascinare, un po’ per quel loro modo grezzo e incurante di fare musica cupa e disperata e di passare un messaggio che pur restando agli antipodi della speranza ci arriva con una sana dose di sarcasmo e talvolta d’autoironia, e per la capacità indiscussa di imporre all’ascoltatore la bruttezza e la sporcizia del suono come cifre stilistiche apprezzabili. Paladini di un’attitudine DIY che più non si può, soprattutto laddove a produrre e distribuire è la Housecore Records del long-time-friend (e tamarro) Phil Anselmo, gli Eyehategod si riconfermano una volta di più working class heroes dell’underground estremo a livello mondiale.
7.0