(Relapse Records, 2011)
1. Drift
2. Cold Hearted
3. Lifeless
4. Census Bank
5. Alone
6. Die Miserable
7. A Coward’s Existence
8. 95
Cominciamo subito col dire che i Fuck the Facts sono una band sicuramente degna di nota, ma dalla carriera spesso strana. I canadesi hanno difatti sempre inserito nel loro sound, assolutamente estremo ed iconoclastico, molti (forse troppi!) elementi totalmente diversi tra loro, tanto che etichettarli come una semplice band grindcore, costruirebbe una catalogazione che definire stretta risulterebbe quasi eufemistico.
Molti elementi appunto, che a volte (rarissimamente) possono portare all’autentica creazione di un sound distinguibilissimo ed unico, come per band quali Mastodon, Tool, Protest The Hero o The Dillinger Escape Plan, e a volte (quasi sempre) alla stesura di pezzi sicuramente carichi e complessi, ma spesso ricolmi di forzature e stesure maniacali fini a se stesse, come per gli esagerati Psyopus o i Converge successivi alla pubblicazione della pietra miliare hardcore intitolata Jane Doe.
Sarebbe infinitamente bello trovarsi di fronte ad una band rientrante nella prima catalogazione, ma purtroppo, per gran parte della loro discografia, compreso l’ultimo, in parte deludente, Discorge Mexico, si è costretti ad inserirli nella seconda. Cambi di tempo per nulla ragionati, distorsioni da crust punk, rallentamenti per cercare un improbabile groove assolutamente forzato e tanti, troppi generi dissonanti (compreso l’immancabile metalcore!), hanno portato la band a cimentarsi spessissimo in un ibrido pieno di noise, quasi sempre disturbante e senza alcuna logica creativa.
Fatta appunto questa lunga e doverosa premessa possiamo tranquillamente constatare che l’album in questione, Die Miserable, costituisce un punto di svolta per la band capitanata dall’istrionica Mel Mongeon, in quanto, se da una parte non mancano le sfuriate death\grind (comunque godibili), come per l’opener “Drift” o nella traccia “Lifeless”, dall’altra ci si trova di fronte ad un sound sicuramente ibrido, ma stavolta miscelato in maniera più matura, meno discordante e quindi, più sapiente ed appropriata. Perciò, alla luce di tutto questo, come non citare la bellissima “Alone” forte di una intro con arpeggi puliti, “degenerante” in un incedere feroce, tipico del death old school, e con al suo interno inserimenti che spaziano dallo swedish alla musica elettronica. Da segnalare anche la traccia “Census Black”, dove sono presenti elementi quasi post metal, intervallati però a riff tritaossa dal chiaro retrogusto black ed una chiusura talmente malinconica ed inquietante da rimanere impressa nella memoria già dal primo ascolto (fatto più unico che raro data la band in questione!). Ed infine l’ultima disperata “95”, dove la furia catartica lascia, spesso e volentieri, spazio a rallentamenti pieni di groove e (udite udite!) addirittura ad un assolo di chitarra.
Un album in sostanza molto maturo, che non fa gridare al capolavoro, tranne in sporadici momenti, ma che offre una sicura e più definita chiave di lettura nell’oceano infinito della musica estrema, dove spesso i cinque del Québec si erano smarriti. Chiave di lettura, non solo per i futuri lavori della band ma anche per i loro assidui ascoltatori.
7.0