(Revive Records, 2013)
1. The Last March
2. Calistoga
3. Reverse World
4. Transmissions
5. Weightless
6. Exit Dream
7. Signal Rays
8. Autumn Song
9. Spiral Code
10. Strange Steps
11. Red Moon Lagoon
12. Light Years from Home
God is an Astronaut ormai è un marchio di qualità: nata nell’ ormai lontano 2002, questa band proveniente dalla fredda e orgogliosa Irlanda ha scalato in meno di quindici anni la frastagliata montagna del post rock ponendosi sulla vetta insieme a pochi altri mostri del genere. Tutte le loro uscite, dagli album ai singoli, sono state prodotte dalla loro etichetta Revive Records e i loro spettacoli sono vere e proprie opere audiovisive, che mescolano il loro sound visionario a giochi di luce e proiezioni di video. La loro musica è una complessa architettura di chitarre, sintetizzatori, batteria e sporadiche voci, che vanno a creare un’immaginaria visione onirica di colori e sensazioni.
L’ album in questione vuole già dal titolo rifarsi ai primi lavori della band, risultando molto simile come stile e atmosfere al loro disco di debutto The End of Begining. Al classico post rock vengono aggiunte influenze da altri “generi”, come le chitarre sludge che aprono “Singnal Rays” o il pesante utilizzo di apparecchiature elettroniche, che tendono a lasciare poco spazio alla classica combinazione chitarra/basso/batteria. Il classico picco e attenuarsi delle sonorità avviene da un brano a un altro, così che ci si ritrova ad avere pezzi quasi indipendenti, come l’iniziale “The Last March”, lenta e ricca di atmosfera, o la seconda “Calistoga”, più incalzante e ritmata. I nostri però in certi tratti sembrano quasi bloccarsi, tanto che per quanto l’album sia piacevole nell’ ascolto, rimane una certa insoddisfazione alla fine. C’è forse un’indecisione sull’utilizzo del cantato, tanto che in pezzi come “Exit Dream” la voce sembra ergersi sopra tutti gli altri strumenti, mentre in “Reverse World” o “Autumn Song” è solo un lontano eco sovrastato da tastiera e chitarra. Non ritroviamo certo la grinta mostrata in All is Violent, All is Bright, molto più semplice eppure più d’impatto nelle sonorità: Origins sembra essere un album troppo “controllato”, a discapito di un’improvvisazione più genuina. Purtroppo mi sono ritrovato a percepire arrangiamenti già sentiti nei loro stessi album, una pecca che per un genere così “sperimentale” non dovrebbe neanche essere presa in considerazione.
In conclusione Origins è un album che riunisce concetti già trattati dalla band, dotato di interessanti soluzioni ma che non riesce ad essere al passo con altri lavori meglio riusciti. Resta un prodotto ottimo, sia come sonorità che come produzione, piacevole nel suo insieme, ma sembra che la ricerca sia stata messa un attimo da parte per ripassare con più sicurezza strade già familiari.
6.5