(Twilight Vertrieb , 2011)
1. Prologue – The Covenant
2. Wrath – Into a Mental Inferno
3. Envy – Beyond the Grace of God
4. Gluttony – The King’s Jester
5. Sloth – The Echoes of Babel
6. Lust – Of Masters and Servants
7. Greed – The Sign of the Rope
8. Pride – The Black Mirror
9. Epilogue – The Lord of Sin
Recensire Sin, quinto album dei tedeschi Grabak, desta una sorta di giustificata curiosità.
L’album difatti è un concept incentrato sulla sempreverde tematica artistico letteraria dei 7 peccati capitali, tematica che tanto ha affascinato, e continua a farlo anche in epoche recenti, vari artisti nei rispettivi campi, come nel caso del regista David Fincher, autore appunto del mai dimenticato capolavoro Seven datato 1995.
La confezione è di tutto rispetto e già dai primi quindici secondi dell’intro “Prologue – The Covenant” ci si rende conto di essere di fronte ad una produzione di tutto rispetto, ma a volte si sa, l’apparenza può camuffare il più velenoso ed infido degli animali.
Già nella “irascibile” seconda traccia “Wrath – Into a Mental Inferno” i nostri mostrano una crisi di idee preoccupante, crisi già palese nel precedente e noiosissimo full lenght Agash Daeva. Gli ingredienti? I soliti: un Black Speed Metal con chiarissimi riferimenti a Marduk, i conterranei Endstille e qualche influenza tipicamente thrash che non può che richiamare ai marcissimi Nifelheim o ai crudeli Tsjuder; scream molto effettati, batteria in costante blast beat con doppia cassa triggerata ad elicottero e riff di chitarra ripetuti allo sfinimento.
Non si sta certo dicendo che per essere “true” o evocativi sia necessario rifarsi a sound “recenti” doomeggianti come nel caso dei malatissimi Skitliv o i raggelanti Ordog, anzi si è dell’idea che band come Behemoth, Mayhem (quelli dell’era post-Euronymous ovviamente) o persino i recenti Satyricon siano in grado di continuare a regalarci, pur avendo decisamente cambiato le loro coordinate artistiche, perle assolute di un nero corvino autentico.
Nonostante il genere in questione il livello tecnico c’è, non c’è alcun dubbio, e si ha come la sensazione che la band sia un’autentica creatura da live, ma la ripetitività appunto che risulta già dal primo sofferto ascolto rasenta la pateticità e gli sbadigli già dalla terza, quarta canzone si sprecano.
Stiamo parlando dunque di un album deludente che nulla aggiunge al mar nero del black metal transalpino, se non qualche sporadica onda di piccola portata, e che dimostra per l’ennesima volta che non è certo un’ottima produzione o un concept interessante a fare di una release un capolavoro.
Voto: 4.5