(Housecore Records, 2012)
1. Deadman/Rabbit
2. Bear
3. Fox
“To call haarp ‘slow’ would be somewhat fair, but to say that they’re just ‘another slow band’ would be sacrilege“. Phil Anselmo
Gli haarp (la minuscola è voluta), diciamolo chiaro e tondo, meriterebbero migliori fortune. Nonostante gli ottimi dischi che hanno alle spalle (in particolare l’esordio, davvero notevole), il ruolo che gli è stato affibbiato è ormai quello dei ‘mestieranti’; un gruppo per soli appassionati, o peggio ancora per addetti ai lavori. Niente di più sbagliato. Gli haarp sono una grande band, e vanno riscoperti, a partire dai loro primissimi lavori (inclusi gli EP).
Facciamo un passo alla volta. Si parte da una città: New Orleans. Ok, a questo punto dovreste esservi già convinti a dargli un’ascoltata: non esiste sicurezza più grande, un gruppo sludge che viene da New Orleans spacca il culo a prescindere. E’ una tautologia, una verità assoluta. E fin qui ci siamo, perché effettivamente gli haarp ci sanno fare, e hanno insite nel loro dna tutte le caratteristiche che hanno resa grande la scena della Louisiana. Un altro piccolo passo e ci troviamo davanti il personaggio che forse più di ogni altro ha reso grande la suddetta scena: Phil Anselmo. Forse non tutti lo sanno, ma Phil possiede una casa discografica, la Housecore Records, che produce tra gli altri gruppi del calibro di Eyehategod, Soilent Green, Crowbar e Arson Anthem. Insomma, una bella compilation di marciume sonoro. Anselmo ha scoperto gli haarp quando questi erano ancora praticamente in fasce, appena usciti dalle loro passate esperienze a base di grind e black metal, e li ha coltivati come una propria creatura. Per la Housecore è uscito il loro primo (ottimo) disco, The Filth, risalente al 2010, e si appresta ad uscire il secondo LP, Husks.
Husks è un pachiderma. Un pachiderma che ti pressa, ti schiaccia contro un muro, ti riduce in fin di vita e improvvisamente si ferma, ti lascia un minuto per riprenderti e si gode la scena. Poi ricomincia da capo. E’ sludge non tanto nei suoni, quanto piuttosto nell’anima, nell’essenza più profonda. E’ un disco marcio, monolitico, un flusso continuo che si dipana senza soluzione di continuità in poco più di quaranta minuti, per un totale di soli tre pezzi.
Questa idra a tre teste assale l’ascoltatore fin dall’inizio: “Deadman/Rabbit” è una partenza che mozza il fiato, un pezzo tellurico che sconfina nel doom e nel metal estremo, infrangendosi come un macigno sul malcapitato ascoltatore. In ben diciotto minuti troviamo riff veloci e taglienti e rallentamenti improvvisi, nella più classica tradizione sludge; la differenza qui sta nei suoni, meno sporchi rispetto a quanto sentito negli album di altre band di Nola, e più vicino a un certo death metal moderno. E il death metal è richiamato anche dalla voce del frontman Shaun Emmons, un simil-growl ferale e ben eseguito. “Bear” è caratterizzata da un mood più aggressivo, più straight-to-face, ed evita di ‘perdersi’ in momenti atmosferici o riflessivi; è un brano violento nell’accezione più pura del termine, e lascia l’ascoltatore senza fiato, totalmente impreparato ad affrontare il pezzo successivo. E invece “Fox” arriva implacabile, e stordisce con il suo incedere oppressivo, virando spesso e volentieri verso il doom duro e puro. Intriga, sa essere interessante, forse più delle composizioni precedenti. E’ una perfetta chiusura del cerchio.
Ma non sono tutte rose e fiori, Husks qualche difetto ce l’ha: è vagamente ripetitivo, anche se questa caratteristica ci può stare, visto il genere affrontato; ma soprattutto, è un album abbastanza derivativo. I quattro non nascondono il loro background e le loro influenze, anzi, citano e richiamano con una certa frequenza i loro numi tutelari. Il punto, qui, è che di gruppi che suonano così bene in giro al momento ce ne sono davvero pochi. E quindi ben venga la musica derivativa, se è eseguita con questo furore e con questa abilità compositiva. Husks rappresenta un’evoluzione rispetto a The Filth, il precedente full-lenght: gli haarp sembrano più maturi e consapevoli del loro potenziale, genuinamente strafottenti e disinteressati a qualunque tipo di compromesso. E tutte queste caratteristiche si ritrovano palesemente nella loro musica. Husks, nella sua poca originalità, è un signor disco, di quelli che si riascoltano volentieri anche dopo anni. Una boccata d’aria fresca nella stitica scena estrema contemporanea.
7.5