(Century Media, 2013)
1. Killing Birds With Stones
2. The Welding
3. Steps
4. Sore Sight For Eyes
5. Milk Leg
6. Harmonomicon
7. Eventual
8. Blood From A Stone
9. The Way Down
Piacciano o meno, la parabola discografica degli Intronaut presenta oggettivamente degli aspetti interessanti. Nati come band post-core (notevole l’esordio Void, del 2006), hanno avuto la fortuna e in parte anche il merito di sapersi inserire nella scia dei Mastodon, salvo poi repentinamente distanziarsene ed evitare così di essere etichettati come i fratelli sfigati di Kylesa e Baroness. In realtà con i colleghi di Savannah (in particolare i Mastodon) gli Intronaut hanno parecchio da spartire, specie se si pensa al percorso evolutivo che hanno intrapreso, e che li ha portati a virare verso territori più propriamente progressive: influenza, questa, accentuata quasi fino al parossismo dalla band losangelina, che con l’ultimo Valley Of Smoke si è lasciata andare a tendenze masturbatorie ed auto-referenziali abbastanza preoccupanti.
Con Habitual Levitations la già accennata evoluzione trova il suo completamento. Non solo, ci sono buone notizie: gli Intronaut sembrano essere maturati anche da un punto di vista compositivo; quello che era il peggior difetto di Valley Of Smoke, ossia la tendenza a scrivere pezzi confusionari e disorganizzati, sembra essere sparito. Possiamo dimenticarci costruzioni sconclusionate, passaggi prolissi e tecnicismi fini a se stessi: Habitual Levitations è un album che, pur nei suoi difetti (alcuni piuttosto evidenti), funziona e fila liscio senza intoppi, incanalando un metodo compositivo quasi jazzy all’interno di strutture ben definite. In un certo senso, questo album è un compromesso, e alla fine dei conti è quella la sua forza. Messe da parte l’irruenza degli esordi e l’iper-tecnicismo dell’ultimo lavoro, gli Intronaut ci sorprendono con un sound variegato ed eterogeneo, anche se tutt’altro che innovativo: lo spettro di Mastodon e Baroness, infatti, aleggia in diverse composizioni; e proprio questi ultimi sembrano essere diventati una pietra di paragone più che plausibile, soprattutto dal punto di vista vocale e delle melodie in generale. Rispetto alla band di John Baizley, però, gli Intronaut sembrano avere gusti più raffinati che, uniti ad una padronanza strumentale davvero notevole, rendono Habitual Levitations un lavoro molto più godibile rispetto alle ultime uscite delle altre band del settore (specie se si pensa alle ultimi discutibili lavori di Mastodon e Kylesa).
Potenzialmente, Habitual Levitations è un disco che potrebbe mettere d’accordo un po’ tutti: chi cerca tecnica e free-form rimarrà senz’altro soddisfatto; chi cerca un sound eterogeneo e sfaccettato, pure; chi cerca la sostanza, troverà comunque pane per i suoi denti (l’opener è un pezzo spigoloso che ci riporta dritti ai tempi di Prehistoricism). Gli unici che storceranno il naso saranno quelli che pretendono (forse a ragione) un minimo di originalità e capacità di staccarsi da stilemi ormai consolidati. Di tutto questo, negli Intronaut attuali non c’è traccia. Noi, tutto sommato, pensiamo di poterci accontentare, anche perché in un certo senso hanno saputo sorprenderci: ed in un genere come questo non è cosa da poco.
7.0