A livello nazionale, nell’immaginario collettivo, è decisamente difficile immaginarsi la provincia di Cuneo – sì, quella grossa area del basso Piemonte, misconosciuta geograficamente ai più, prevalentemente rurale, piena di perbenisti (ma) leghisti come se piovesse, in cui, se non hai un trattore, non trovi lavoro – come una zona fervida, per quanto riguarda l’attività concertistica piuttosto che produttiva, per quanto concerne band legate a certi ambiti musicali: eppure, malgrado le possibilità decisamente carenti, c’è chi ha voglia d’andare controcorrente – senza necessariamente avere attitudini sloganistiche o intenti pseudo-politici –, costruendo qualcosa di produttivo, inevitabilmente opposto alla cultura dominante. Non credo sia casuale il fatto che non poche delle “nuove” realtà in ambito alternativo/estremo italiano provengano da quest’area: si pensi ai pluripremiati rockers Bad Bones, agli Stigma (ora Doomsayer), per molti ‘padrini’ del deathcore italiano, piuttosto che ai brutallers Septycal Gorge o al sorprendente power-trio dei Dead Elephant; si tratta di band provenienti dalla cosiddetta ‘Granda’, magari amate e seguite in zona, ma con pochissimo spazio per esprimersi a livelli ottimali nelle terre che hanno dato loro i natali. Per carità, nemo propheta in patria, ma sovente i paradossi che si creano sono a dir poco grotteschi: per alcuni dei gruppi di cui sopra, infatti, è stato più semplice trovare date all’estero o in altri continenti che nel pub sotto casa. Per chi scrive, dunque, è un’immensa e piacevole sorpresa il fatto che, da qualche anno, proprio a Cuneo sia nata un’associazione culturale/etichetta/chi ne ha più ne metta atta a promuovere punk, hardcore e generi limitrofi, la Tanto di Cappello Records (da qui, TADCA): malgrado infatti i seri limiti geografico-culturali, da un po’ di tempo nel Cuneese è possibile vedere dal vivo alcune chicche musicali, dal genuino sapore di ‘culto’; quel genere di eventi intimi che magari in zona son quasi snobbati, ma che basterebbe spostare di qualche centinaio di km più in là, su qualunque punto della carta geografica, per avere feedbacks decisamente più esaltanti. E’ il caso della sera del 23 novembre: presso il Palazzo Bertello di Borgo San Dalmazzo (CN), un’area comunale dedicata alle manifestazioni, grazie proprio al solido sostegno della TADCA si sono esibiti nientepopodimeno che i Jester Beast, una delle prime band thrashcore italiane (e del mondo!), formatasi nel 1985, con addirittura al suo interno un certo Tax (il chitarrista fondatore dei gloriosi Negazione)! Grind on the Road non poteva perdersi una simile occasione: ladies and gentlemen, ecco a voi il report.
Ethylic Coma
Di fronte ad un pubblico che, nel corso della serata, ha sfiorato il centinaio di presenze, quattro ragazzi (anzi… tre ragazzi ed una signorina, ovviamente al basso, come tradizione, dai Sonic Youth in poi, vuole), rigorosamente under 20, hanno semplicemente spiazzato e raso al suolo il locale, proponendo un genere che era già in auge qualche lustro prima della loro venuta al mondo: sfoggiando un’attitudine scherzosa, ma combattiva e sicura di sé, i quattro cuneesi hanno basito tutti, scatenando occasionali moshpits, proponendo un thrashcore furioso e decisamente osservante dei sacri canoni dei gloriosi 80s. Tupa tupa al fulmicotone di scuola Nuclear Assault, momenti ironici evocanti certi S.O.D., tecnicismi à la Slayer, voci dei due chitarristi/cantanti strillate a più non posso e, soprattutto, un giovanissimo batterista che promette veramente molto: ecco gli ingredienti degli Ethylic Coma, una band che non sfigurerebbe assolutamente, se, un giorno, si trovasse ad aprire per alcuni dei titani del new-thrash attuale, come Violator o Municipal Waste. Fra riadattamenti dal sapore punk-hc di alcuni goliardici inni da osteria, schiaffoni ultrafast, quasi a sfiorare certo powerviolence, un’ottima esecuzione della cover degli Exodus, “Another Lesson In Violence”, gli Ethylic Coma hanno decisamente lasciato il segno, facendo ben sperare per il futuro della musica suonata col cuore in Granda. Ancora stento a credere nella giovanissima età media del combo: complimenti (tra l’altro, a fine concerto, scopro che Daniele Chiecchio, il principale chitarrista/cantante della band, è diventato secondo axeman dei noti deathcorers nostrani Corr00sion: evidentemente non sono l’unico ad avere visto in questi ragazzi un ottimo potenziale)!
Nothing Lasts Forever
La TADCA, solitamente, quando organizza i suoi eventi, fa in modo che, prima dei ‘big’ della serata, ci siano alcune band locali, magari anche misconosciute e in procinto di registrare anche solamente un demo: ciononostante, bisogna rendere loro atto, generalmente l’HC-crew cuneese sa scegliere piuttosto bene. Nessuna, infatti, delle band precedenti ai Jester Beast può dirsi ‘di nome’, ma, sicuramente, ognuna ha brillato per la propria particolarità. Gli hardcore-kids Nothing Lasts Forever non sono stati da meno, dimostrandosi fra le formazioni più coinvolgenti della serata, malgrado un disguido tecnico (una corda di chitarra rottasi improvvisamente… shit happens!) che, per qualche minuto, ha fermato la loro esibizione. Forti d’un video promozionale reperibile su YouTube intitolato “Believe in Yourself”, i nostri fanno un positive hardcore che riecheggia, talora, alcune idee dell’ultima Youth Crew, con echi di Dog Eat Dog, Comeback Kid e Boy Sets Fire, il tutto riletto in chiave moderna e, talora, se vogliamo, anche un po’ modaiola, sulla scia degli ultimi If I Die Today – anche se l’entusiasmo del quartetto m’è sembrato decisamente più genuino, verace, sincero e meno ‘artefatto’, rispetto ai loro illustri colleghi. It’s not exactly my cup of tea, si direbbe in Terra d’Albione, ma una mezzora divertente i Nothing Lasts Forever me l’hanno fatta passare; promossi a pieni voti dall’audience, veramente coinvolta e furiosa nel pogo. Piccola nota di cronaca: tre quarti della band è di colore! Sbàm!! Thumbs up!
HellGeist
Poco prima degli storici headliners, ecco il quartetto locale che ha riscosso decisamente più applausi e sudore sotto il palco, gli HellGeist: pazzesca, infatti, la verve con cui il gruppo è stato accolto. Malgrado il manifesto dell’evento citasse, come loro genere di riferimento, death metal, dal basso della mia esperienza posso dire con assoluta certezza che riff di derivazione hard rock alternati ad altri che non s’allontanano dai primi tre-quattro tasti del manico, complicati assoli melodici, batteria concentrata su mid tempos assassini e rari momenti veloci, voce decisamente ‘anselmiana’, mi fanno pensare più al groovy thrash metal dei Pantera, piuttosto che ai Morbid Angel. Questi, infatti, gli ingredienti principali del gruppo di cui sopra: nulla di male, per carità, né niente di nuovo sotto il sole, dunque; un sacco di grinta, scapocciamenti à gogò e quella fuck you-attitude che ha fatto la fortuna proprio di Phil Anselmo. Sicuramente divertenti i primi pezzi; dopo un po’, però, viene voglia di sentirsi Vulgar Display of Power (e sono anni che non lo ascolto, per quanto il Felino del Texas sia una delle band maggiormente responsabili del mio avvicinamento al metal ed affini), con la certezza che ci sia decisamente più energia e personalità. Non potendolo fare, per ovvi motivi, ho optato per due chiacchiere, una birra ed una sigaretta con qualche amico presente.
Jester Beast
Finalmente, attorno alla mezza, è giunto il momento della storica band torinese: come già annunciato nell’introduzione del report, i Jester Beast s’erano formati nel cuore di quegli anni Ottanta in cui, per certa musica, tutto sembrava possibile. Ai tempi, il chitarrista Claudio ‘CcMuz’ Caligari, aiutato al basso dal chitarrista dei blasonati Negazione, Tax, mise su una band thrashcore, a metà fra follie e sperimentalismi di scuola Voivod/Killing Joke e furia di casa S.O.D. Nel corso degli anni un EP, Destroy After Use, ed un album – la cui copertina venne illustrata dal grandissimo Bonvi –, Poetical Freakscream: due uscite che fecero scalpore e, stando a quanto mi disse ai tempi il buon Muz (unico sopravvissuto della formazione originale, insieme al cantante Steo Zapp), avrebbero potuto dare loro la possibilità di ‘decollare’ verso uno status superiore, se non che, per problemi di natura privata, agli albori degli anni Novanta, il combo torinese si sciolse. Da allora, d’acqua sotto i ponti ne è passata; gli ultimi due-tre anni sono stati dedicati dai nostri per tornare in auge al massimo delle forze: nel loro curriculum più recente, infatti, si possono ricordare date con Accüsed, Wehrmacht e Cripple Bastards, nonché un costante lavoro per un nuovo album che, si spera, possa uscire presto. Purtroppo, in quel di Borgo San Dalmazzo, s’è verificato uno dei fenomeni più tipici ed incresciosi dei live in aree circoscritte: finite le esibizioni delle ‘glorie’ locali, il pubblico tende a diminuire in maniera drastica. I restanti, principalmente, erano però il pubblico ‘giusto’ per i Jester Beast; coloro che, realmente, aspettavano l’esibizione del seminale quartetto torinese: punk-hardcorers dai trenta in su e metallari della prima ora; non più di venticinque-trenta anime, ma calde come non mai (con conseguenti scene epiche del tipo inattesi spogliarelli, docce di birra, gente che si rotola per terra, cimentandosi in prese di lotta greco-romana: il tutto con la colonna sonora fornita dal combo in questione)!! I Jester Beast non si sono assolutamente sentiti prime donne ed hanno preso la situazione con divertimento e filosofia, iniziando magari con un po’ di timidezza, ma concludendo con una grinta ed una convinzione che fa dimenticare che metà del gruppo abbia abbondantemente superato la quarantina! Unico neo dell’esibizione, forse, la predilezione nella scaletta per i pezzi più progressivi e studiati di Poetical Freakscream, quando la gente, invece, s’è divertita decisamente di più sul tupa-tupa anthem “Destroy After Use” e sulla stortissima e furente “Claustrophobic Autogamic”. Ma si tratta di particolari: malgrado qualche arma da affilare al meglio, a causa dell’ennesimo cambio di line up, il combo torinese può ancora emozionare. Ben tornati, Jester Beast; in bocca al lupo!