Jesus Ain’t In Poland: una fucina di grindcore grezzo, violento, ma intelligentemente curato, orgogliosamente made in Italy (precisamente da Modena)! Dopo l’uscita dell’interessante primo album, Freiheit Macht Frei, successore di quello che fu un vero terremoto per tutto l’underground, l’EP Holobscene, una chiacchierata col quartetto era più che mai dovuta, considerando il fatto che ci troviamo di fronte ad una delle band, non solo più valide, ma anche più attive e volenterose della nostra Penisola.
All’intervista si sono prestati pressoché tutti i membri della band, guidati dal mainman Sieg Julli. L’impressione avuta è stata quella di un gruppo unito ed in piena forma, con le idee molto chiare, buone capacità analitiche, accompagnate a quell’attitudine simpaticamente ironica e dissacrante, che, da sempre, va a braccetto col miglior grind. Enjoy!
Ciao ragazzi! Come vanno le cose? Il vostro disco è uscito da pochissimo: è prematuro fare già una piccola summa di come stia andando la vendita dell’album? Come vi state applicando per la promozione del tutto?
JULLI [voce] – Buongiorno caro! Il disco è uscito veramente da pochissimo, non te lo so proprio dire! Stiamo ovviamente distribuendo le prime copie ad amici, fans della zona e agli ultimi concerti, nondimeno ci è stato richiesto via internet ed abbiamo spedito le prime copie in Europa e Stati Uniti… Un bilancio obiettivo te lo potrei fare almeno tra un mesetto… La promozione e distribuzione del disco è a cura di Grindpromotion; sappiamo che sta facendo girare le prime copie a livello internazionale tramite i suoi contatti in America del Nord, America Latina, Europa, Russia e Giappone… niente male! Era ora, dopo anni e anni, di avere una distribuzione capillare e seria all’estero ed un supporto affidabile!
Il vostro primo full length si chiama Freiheit Macht Frei, se non erro (non conosco il tedesco!), traducibile con “la libertà rende liberi”: tale titolo parodizza il noto motto nazista “Arbeit Macht Frei”, presente sui cancelli dei campi di concentramento del drammatico periodo della Shoah; benché il vostro titolo sia un messaggio certamente positivo, nella sua forma, si presenta senza dubbi come una provocazione molto forte. Come mai la scelta d’un titolo così d’impatto? In che modo si sposa con le lyrics dell’album?
JULLI – Hai colto nel segno… Il rimando è chiaro. Parlare di libertà significa chiamare in causa un emisfero concettuale enorme e significa anche confrontarsi con la forza più altamente destabilizzante che l’uomo abbia mai messo in gioco. E’ il valore supremo, è il sentimento più forte che esista, insieme all’odio e all’amore. Ma scrivere di odio e amore è tremendamente avvilente, semplicistico e pacchiano. Scrivere della libertà significa invece puntare un coltello alla tua immagine riflessa allo specchio. Cosa vuol dire? Che, nel mondo che l’uomo ha deciso di sottomettere alle sue regole e alle sue necessità, la libertà è tutto. E’ il sangue della speranza e la diretta o indiretta responsabile di ogni accadimento umano: determina glorie e tragedie, ricchezza e povertà, la vita e la morte… è l’architetto morboso di un mondo intero, e di una vita intera… Se leggi attentamente i testi, la libertà è considerata non solo come capacità e possibilità decisionale, sottomissione e supremazia (“Reptile Pigs”, “Lurid Perverted Hypocrites”, “Pray For The Bugs”, “Scarlet Tongues”), ma anche come motore del benessere, come passione, come impulso primordiale e irrefrenabile alla ricerca e al conseguimento della serenità. Abbandonare le faccende umane e sparire, lontano, via da tutto: qui comincia la vera libertà (“Blessed Be”, “My God Is My Will”, “Shelter Grave”). Tutto il resto è solo una tregua, un armistizio, una poco rassicurante e deprecabile faccenda umana. La libertà te la crei tu con la tua testa, così come tu decidi di confinarla in un ghetto; dipende tutto da te, dalla tua forza di volontà.
RICKY [basso] – Posso aggiungere che questo discorso riguarda l’illusione di libertà che abbiamo creato noi, qui in Occidente. Crediamo di essere una fiaccola di libertà da seguire come esempio, ma, alla fine dei conti, lavoriamo tutta la vita e sfoghiamo le nostre frustrazioni nei fine settimana e durante le poche vacanze che ci sono concesse. Nemmeno fuori dalle fabbriche e dagli uffici siamo liberi di essere noi stessi. Smessi i panni dell’operaio indossiamo un’altra maschera, ognuno recita una parte. Di conseguenza ci priviamo della libertà con le nostre stesse mani, prima delegando ad altri il potere di decidere della nostra vita, poi plasmando la nostra persona secondo degli stereotipi che siano accettati e riconosciuti. Indossiamo SEMPRE una divisa, volenti o nolenti. Questa, almeno, è la mia opinione.
Quali sogni vorreste realizzare con il vostro primo disco ufficiale?
JULLI – Farci conoscere da più gente possibile, suonare il più possibile e viaggiare il più possibile: suonare e vedere il mondo che non hai ancora visto, uno stormo di piccioni con un fava!
Freiheit Macht Frei si differenzia dall’EP Holobscene per canzoni più studiate, strutturate e complesse: scelta fatta con cognizione di causa o evoluzione naturale del vostro suono?
JULLI – Entrambe caro: di volta in volta si costruisce facendo confluire quello che vorresti fare e quello che ti viene spontaneo fare. In definitiva cominci e vai avanti, e poi, con uno sguardo successivo, ti rendi conto di quello che sei riuscito a creare, e di dove sei riuscito ad arrivare. E vuoi continuare ad andare avanti, senza doverci stare a ragionare più di tanto.
RICKY – Per quanto mi riguarda, se Holobscene era il punto di partenza, Freiheit… è la naturale evoluzione del nostro modo di fare musica e non è certamente il punto di arrivo ma una zona di passaggio verso qualcos’altro. Non potrei pensare di suonare sempre le stesse canzoni con le stesse strutture. A trent’anni non posso fare musica come la facevo quando ne avevo venticinque.
Domanda “socio-antropologico-musicale”: provenite dall’area di Modena, in Emilia Romagna. Negli ultimi due-tre anni, in Italia, pare che la musica estrema più “verace” (hardcore, grind, death metal e vari derivati) si sia sviluppata proprio in quell’area, sfornando ottime band (fra cui voi!), nonché grazie a ottime iniziative (September to Dismember, Lowlands Death Fest…) promosse da labels, centri sociali o associazioni culturali: considerando quanto sia difficile suonare certa musica nel nostro Paese, credo che la vostra zona sia, a livello nazionale, una vera e propria mosca bianca. Voi che vivete questa scena dal di dentro cosa ne pensate?
JULLI – E’ una figata, mio caro. E poi ci conosciamo tutti, c’è stima e rispetto reciproco. Ti riporto alcuni nomi: Cancer Spreading, No White Rag, Infamia, Nine Eleven Jumpers, Terror Firmer, Black Temple Below, Saturnine, Strange Fear, Hateful, Blood Of Seklusion, Mad Maze, noi etc… E’ una bellissima scena, tutti questi gruppi stanno ottenendo riconoscimento e visibilità, ed è uno spettacolo quando ci si ritrova a suonare insieme alle varie serate, sia fuori che in città – non ti dico il livello di ignoranza supremo che siamo capaci di raggiungere. Tieni conto che quasi la metà di questi gruppi sono nati da costole di gruppi preesistenti sempre qui citati… e se ne formeranno probabilmente altri! Una crew abbastanza nutrita…
Fra i vostri ascoltatori avete sia hardcore kids, sia grinders, sia metallers: qual è la vostra audience ideale?
JULLI – Quella costituita da elementi sinceramente appassionati e non quegli hipster imbecilli che sono stanchi di farsi le seghe a casa e devono urgentemente farsi notare. Quindi… sono tutti benvenuti. Abbiamo un buon riscontro su diversi fronti, e la cosa è particolarmente gratificante!
E’ risaputo che alcuni di voi sono coinvolti in altri progetti musicali: potresti presentarceli?
JULLI – Joker (chitarra) suona nei sopracitati Terror Fimer, gruppo grindcore/fastcore con diversi split 7” all’attivo; Aksam (batteria) suona in un progetto sludge/stoner di nome Buttered Cat Paradox che deve ancora rilasciare materiale; io suono la batteria nei Black Temple Below, gruppo doom/sludge con un demo all’attivo (insieme con chitarrista e cantante dei Cancer Spreading), e infine sia Joker che Aksam suonano insieme in un’altra band, Tixotropic Squirt, hardcore/thrash metal band in cui è presente anche il cantante degli Strange Fear. Il nostro bassista ha da poco iniziato un progetto di avantgarde/prog con altri ragazzi della zona. Ecco, ci diamo da fare!
AKSAM – Aggiungo poi, finché ci siamo, il mio principale progetto “elettronico” – Aktarus Aksam – che tende a ricreare sonorità Ambient/Dark Ambient, talvolta psichedeliche, collaborando di tanto in tanto con personaggi della scena locale quali Matte – chitarrista At The Soundawn, e i sopracitati Buttered Cat Paradox, Ricky – cantante/bassista dei Grumo col progetto noise/ambient C+P+B+, e, quando si è in vena, anche con Julli.
Quali sono i vostri ascolti preferiti (in ambito death-grind-hardcore e non solo)? Con quale (o quali) band sognereste di fare un ipotetico tour mondiale?
JULLI – Ascolto veramente un sacco di roba, sia musica estrema che non… non saprei da dove cominciare! Ho un debole per il black metal, sia per i gruppi della vecchia scuola scandinava (vecchi Mayhem, Darkthrone, Immortal, Satyricon, Carpathian Forest etc…,) sia per le più recenti tendenze depressive (Abyssic Hate, Silencer, Bethlehem, primi Shining etc…), ma soprattutto mi riconosco nel black ambient di Burzum e dei Paysage D’Hiver, due band per me fondamentali. Il death metal per me è rappresentato essenzialmente dagli Entombed (mio gruppo preferito in assoluto, nessun album escluso) e poche altre eccezioni, vedi vecchi Morbid Angel, e ammiro molto i Nile, soprattutto per l’originalità della proposta. In ambito hardcore punk/crust/fastcore/grindcore i miei gruppi preferiti rimangono Nasum, Brutal Truth, Napalm Death, Extreme Noise Terror, Disrupt – menziono a parte gli Zeke, capaci di resuscitare i morti – ma non rappresentano la fetta più grande dei miei ascolti. Vado matto per lo sludge doom estremo dei Corrupted e lo stoner catacombale degli Sleep, così come per gli High On Fire. Ma la maggior parte dei miei ascolti vertono sull’ambient, che, come saprai, è un mondo a parte all’interno della musica stessa: ci sono talmente tanti nomi che non riesco a mettere assolutamente ordine… Ti consiglio in proposito WOK e Austerity, progetti di un mio carissimo amico di Modena, che danno veramente emozioni forti; mi piacciono molto anche le tendenze più ermetiche e oscure del dark ambient dei Raison D’Etre. Proseguendo, cito il folk (specialmente celtico, balcanico e slavonico), il rock psichedelico in toto dai Seventies in avanti, l’avanguardia degli Ulver (anche per loro ho debole particolare e mi piacciono tantissimo tutti i loro album), il trip rock dei The Gathering e il trip pop dei Massive Attack; non posso escludere due gruppi straordinari come gli storici Swans e i più recenti Tenhi, e il blue grass di Hank Williams III, imprescindibile quanto si sente aria di estate e puzza di sdilinquimenti reiterati. Ultimi ma non meno importanti, i Pink Floyd e i Neurosis, che mi hanno aiutato a capire che la musica non ha né regole, né confini. Per concludere, se dovessi andare in tour con un nome grosso, su tutti dico Entombed e Brutal Truth: sarebbe una delle più grandi soddisfazioni della mia vita.
RICKY – Gulp! No comment, non sono così ben fornito di orecchie (e di terabyte) come Julli. Ascolto solo gli Oliver Onions!
A parte gli scherzi, ora nel mio stereo ci sono l’ultimo Calibro 35, gli Zen Circus, i Decapitated e i primissimi Meshuggah.
Non so con chi andrei in tour, probabilmente coi Mastodon o con i Meshuggah: potrei sicuramente imparare moltissimo.
Quali sono i dischi che aspettate maggiormente per il 2012?
JULLI – I primi che mi vengono in mente: Entombed (ancora!), High On Fire, Neurosis, Aura Noir.
RICKY – Sto aspettando con trepidazione Meshuggah (23 marzo credo…), Entombed (ma lo stanno facendo o no ‘sto disco???) e Converge (che stanno ultimando).
Ok, grazie per l’intervista ed il vostro tempo. Concludete a vostro piacere, spazio totalmente… frei! A presto, keep it grind!
HOMO SAPIENS NON DURATURA CREATURA.