(Grindpromotion, 2012)
1. Don’t Ask
2. Lurid Perverted Hypocrites
3. Pray for the Bugs
4. The Kingdom
5. Scarlet Tongues
6. My God is my Will
7. Blessed Be
8. Shelter Grave
9. Pedophagia
10. Mother Abscess
11. Reptile Pigs
12. The Hole with God Around
13. Amber the Great
14. Degeneration Healers
15. Curse You
Ammettiamolo: l’ultimo lustro, per il grindcore ed i suoi parenti più stretti (crust, powerviolence, noisecore…), è stato veramente molto fruttuoso e colmo di sorprese; basti pensare a sensazioni internazionali diventate “culto”, come Insect Warfare, Hatred Surge, Wormrot, Maruta, ACxDC, Archagathus, band mai divenute mainstream, ma capaci di solleticare stomaci e palati di tutti i più dediti grind-freaks del Pianeta.
Dal canto suo, l’Italia, oltre all’ormai rodata e vincente entità Cripple Bastards, non ha mai saputo produrre qualche band dell’ambito veramente in grado, come si dice, di decollare; se non che, nel 2009, un quartetto modenese fece uscire in autoproduzione un EP chiamato Holobscene, cambiando decisamente le carte in tavola: a dire di moltissimi, fra forum on line e chiacchiere a quattr’occhi, infatti, i Jesus Ain’t In Poland – la band in questione – avevano prodotto uno dei dischetti più esaltanti e promettenti della scena underground grind mondiale. Posseggo quel disco già da qualche tempo e, come già affermato nello Speciale di GOTR di fine 2011, il loro primo full length, uscito tramite la nostrana Grindpromotion Records, sarebbe stato uno degli album che maggiormente avrei atteso per il 2012: avendoli visti live già qualche volta, rimasto sempre stupito delle loro grintosissime performances e dal violentissimo impatto che, dal vivo, anche le nuove songs avevano, l’attesa del primo disco era più che mai trepida.
Ecco, dunque, Freiheit Macht Frei, disco estremamente curato sotto ogni aspetto – da quello lirico-concettuale, a quello grafico, alla produzione della musica e dei suoni –, caratterizzato da una quindicina di pezzi di sparatissimo grindcore molto ancorato nei gloriosi Nineties. Questa, infatti, parrebbe la prima caratteristica che differenzia i JAIP di Holobscene rispetto a quelli di Freiheit Macht Frei: se, da un lato, la loro prima produzione toccava sì questo genere d’influenze e la resa generale era piuttosto moderna, dinamica e vitale, dall’altro, questo nuovo disco si rivela più oscuro e criptico, anche nel suo mood, non solo nelle (splendide!) grafiche utilizzate nel booklet del cd. Per certi versi, complice anche l’ottima voce del frontman Sieg Julli, parrebbe che il grind dei nostri, molto –core agli esordi, si sia avvicinato al death metal primigenio dei primi anni ’90, con un’atmosfera generale del disco che, vagamente, può ricordare il capolavoro dei Napalm Death Harmony Corruption. Attenzione, però: l’evoluzione dei JAIP, che certamente c’è stata, tramite canzoni più complesse, maggiormente studiate, con svariati e talora non semplici cambi di tempo, è andata troppo a minare quello che aveva reso grandissimo un piccolo capolavoro come Holobscene, ovvero la spontaneità e l’impatto. Per carità, il disco ha tutti gli ingredienti per spaccare di brutto: songs ben strutturate, rallentamenti sulfurei, blastbeats a manetta, parti groovy e tupa-tupa, bassi pulsanti, chitarre abrasive e voci incazzatissime ed evocative, ma non ha quel “non so che” che fa “prendere bene” l’ascoltatore; risulta, infatti, piuttosto difficile ricordare qualche pezzo in particolare, benché, tutto sommato, Freiheit Macht Frei sia un album che piace, può piacere ed assolutamente meriti d’essere supportato – soprattutto quando i JAIP suonano live: in quelle occasioni, non perdeteveli! Sono infermabili e offrono realmente quel “di più” che su disco non passa!
6.5