(Bizarre Leprous Productions, 2014)
1. Koi Throat Fuck
2. Ikebara Body Parts
3. Sumo Sex Instructor
4. Menstrual Tea Relax
5. Ten Seconds in a Cunthole
6. Rest in Piss
7. Drowned in Burial
8. Human Tofu
9. Rising Sun Carnage
10. Shit Cuntsen
11. P.G.S.I.T.S.B.
12. Yan Zing Butchery
13. Ass I Jatka
14. Detestation
15. Koza Kura
16. Hard Cock Cafè
17. Tantou Kimono
18. Natural Tits Mafia
19. March of Jig-Ai
20. Rice Bombing
21. Animal Revenge
22. Ejaculation Complete
Ah, la Repubblica Ceca: il fascino antico ma capace di costituire un trait d’union con la contemporaneità di Praga, i boschi ed i fiumi incontaminati del confine polacco, la sensazione di sentirsi in Europa ma anche in una terra di passaggio, forte di interessanti incontri ed incroci storico-culturali, e… il goregrind.
Già, perché questo genere, ad oggi interpretato dai molti alla maniera danzereccia e demenziale dei C.B.T. (che cechi non sono, in quanto tedeschi) e dei Rompeprop (olandesi), per i pochi (spero) in ascolto che non lo sapessero, nutre alcune delle sue radici più profonde proprio in questo Paese dell’Est: erano i primi anni Novanta, infatti, quando certi Dead Infection mischiavano blastbeats, grooves e tempi in levare ad una voce supergutturale (in un malatissimo inhale capace di far venire la pelle d’oca a qualunque ‘slam-pivello’ dell’ultim’ora), creando le basi di un genere piuttosto fortunato nella sua nicchia underground. Se, però, oggi, per tantissimi, dire goregrind significa farsi due passi di danza sui tempi in levare sui quali s’appoggiano chitarroni ‘korniani’ e voce effettatissima, va ricordato che questo genere, nella sua forma dura e pura – quella della scuola ceca, per intenderci – ha un perché ed una cattiveria attitudinale che riesce ad apparentarlo al grindcore più furente e purista ed al death metal più maligno dei primi anni Novanta. Se, dopo quasi dieci anni d’onorata carriera – presenze quasi fisse all’Obscene Extreme Festival, due full lengths, tour europei… – il power-trio dei Jig-Ai, alfieri del czech goregrind, per immagine, attitudine caciarona sul palco, è stato anche emblema del frangente più ‘happy’ della scena suddetta, va comunque detto che, nella loro sana ignoranza, i Nostri se la son sempre cavata, suonandosela e strizzando l’occhio a certo death metal statunitense: tali elementi, infatti, si notano parecchio nella loro ultima fatica, Rising Sun Carnage.
Da sempre amanti dell’immaginario più splatter, hentai e kitsch del Giappone – e basta dare un’occhiata a copertine e magliette della band, googleando senza impegni, per capire cosa intendo –, i Jig-Ai aprono il loro nuovo disco con quanto di più simpaticamente e beceramente clichettato, nel cinema occidentale, vi sia, quando si parla di Estremo Oriente: infatti, che sia un film di Bud Spencer o di James Bond, cosa si sente, appena un aereo atterra in Cina o in Giappone ed il protagonista mette per la prima volta il piede a terra? GOOONGGGG…! Esatto. E, quindi, pronti, partenza, via: eccoci atterrati e pronti a viaggiare in un mondo di nippo-perversioni goregrind (ventidue, per la precisione!), avendo come guide turistiche i tre folli musicisti cechi.
In verità non c’è nulla di nuovo e sorprendente, ma per fortuna, a discapito dei molti titoli demenziali (“Sumo Sex Instructor”, “Hard Cock Cafè”; giusto per dirne un paio) che potrebbero far pensare al più becero ed inutile comedy grindcore, il contenuto dell’album è goregrind che strizza l’occhio al death metal novantiano, sorretto da voci supergutturali e rarissimi e sgraziati screaming, dall’inizio alla fine. Non è comunque neanche la solita minestra riscaldata: se l’attitudine, la voglia di suonare e divertirsi ci sono, si può fare qualcosa di molto buono, anche senza rompere nessun canone. Rising Sun Carnage, infatti, si assesta su una discreta media, a livello di qualità, esecuzione e produzione (tra l’altro, pollici su per la batteria, ai limiti del brutal death per perizie, e alla chitarra, con una distorsione degna dell’industrial più plasticoso e puzzolente attitudinalmente), ma, comunque, sono poche le canzoni veramente memorabili o, comunque, con quell’idea in più che fanno vincere in fatto di personalità e presenza musicale. E’ il caso della letale tripletta “Drowned In Burial” + “Human Tofu” + “Rising Sun Carnage”: la prima parte col più canonico degli inizi di una grind song – gli accenti dei piatti sul primo riff – per poi dipanarsi in un pezzo veloce e teso, arricchito da inattese melodie quasi ‘behemothiane’ (ma sempre con un bel gutturalone incomprensibile a condire il tutto); il secondo, oltre a far (dis)piacere(?) ai più vegan in ascolto nel titolo, è forte di stop’n’go’s ben orchestrati, in un mash up fra Carcass (prima maniera… era il caso di dirlo?, n.d.R.) e Nasum, con tanto di parti mosheggianti à la S.O.D. e si candida, probabilmente, come canzone più completa del disco; la title-track, infine, annunciata da un sample horrorifico con rumori di carne maciullata, parte con un urlo campionato che si sovrappone ai primi riff, una colata chitarristica pomposa e melmosa in piena tradizione Incantation, per poi degenerare in una marcia dal sapore Mortician ed esplodere nel grindcore più veloce e ferino e concludersi coi riff di casa Incantation d’apertura – decisamente il pezzo più metal-oriented del lotto.
Purtroppo, nel resto del disco, sono pochi gli spiragli un cui si sente qualcosa di veramente buono – per quanto, ripeto, l’impegno, i nostri tre eroi, ce lo mettano eccome: c’è sempre, qua e là, quel riff su cui scapocciare e, in generale, le capacità esecutive son più che apprezzabili –, come nella già citata “Hard Cock Cafè”, che brilla di luce riflessa di casa Napalm Death: levate gli ultra-gutturals e metteteci Barney Greenway ed avrete un potenziale inedito di Harmony Corruption.
Nel complesso, Rising Sun Carnage è un disco onesto che sa, finalmente, donare nuova credibilità ad un genere che, per come si stava mettendo, era in odore di perdita attitudinale, con il suo degenero dal sapore comedy o happy, che dir si voglia (tra l’altro, se volete farvi due genuine risate, consiglio l’ascolto della penultima “Animal Revenge”, una chicca di compiaciuta coglionaggine, dopo un disco truce, che preme sempre sull’acceleratore). Quindi, il voto finale di questa recensione, se siete veramente fans di questa roba, può tranquillamente alzarsi di uno-uno e mezzo, soprattutto se, notando la casa produttrice, la mitica Bizarre Leprous, le vostre notti solitarie di grinders sono state allietate più d’una volta da loschi individui quali Negligent Collateral Collapse, Mincing Fury and Guttural Clamour of Queer Decay, Pigsty ed i già citati Dead Infection.
Last but not least, i Jig-Ai son consigliatissimi dal vivo: veramente pazzi, coinvolgenti e divertenti, fra salti, corse per il palco à la Guns’n’Roses e smorfie degne del miglior Rowan Atkinson. Andarli a vedere per credere!
6.5