(Metal Blade, 2012)
1. Children Of Deceit
2. Nourishment Through Bloodshed
3. Imperium Wolves
4. Tongueless And Bound
5. Black Discharge
6. The Manipulation Stream
7. The Deity Misconception
8. Fearmonger
9. Tarnished Gluttony
Tornano i Job for a Cowboy, con la lineup più forte (speriamo sia anche la più stabile!) e tecnicamente preparata di sempre e, soprattutto, con un nuovo album: l’attesissimo Demonocracy, pubblicato dalla statunitense Metal Blade, a confermare il sodalizio tra band e label che dura da diversi anni.
Le nove tracce che compongono il terzo full-length della band prendono come punto di partenza gli immediati predecessori (Ruination del 2009, e l’EP Gloom dello scorso anno), estremizzandone le soluzioni stilistiche e “strutturali”, creando un ensemble viscerale, ostile ed oppressivo. Il processo di estremizzazione dei Job for a Cowboy ha avuto inizio con l’arrivo del chitarrista Tony Sanniccardo e del bassista dei Cephalic Carnage Nick Schendzielos, chiamati a riempire gli slot vacanti lasciati rispettivamente da Bobby Thompson e Brent Riggs; l’ingresso di questi due musicisti estremamente tecnici ha dato il via libera alla stesura di brani composti da un numero ancora maggiore di riff complicati (certi intrecci di chitarristici sono totalmente inediti per la band), con note a cascata eseguite ad una velocità invidiabile che alzano di una tacca il livello tecnico generale di una band che possedeva già delle capacità notevoli. Fin dalla traccia d’apertura “Children of Deceit” ci si trova davanti ad uno sfoggio di riff ultra-tecnici, ma attenzione a giudicare ciò come mero esibizionismo di capacità tecniche: la strutturazione dei brani, pur seguendo i canoni del death, è fortemente progressiva e le grandi quantità di riff servite dai cowboys scorrono lisce e senza inciampi, confermando che i Job for a Cowboy non sono una band tutto muscoli e niente cervello. L’intelaiatura delle composizioni viene spesso e volentieri spezzata dall’intervento di soli di chitarra, un elemento rimasto molto contenuto sino ad oggi, e notiamo come vi sia stato un ampliamento delle parti più atmosferiche ed evocative. La band, come già intravisto in Gloom, in mezzo al marasma generale dei frenetici riff di chitarra e del drumming forsennato di John Rice, sta sviluppando un certo gusto nella composizione di melodie apocalittiche.
Una particolare menzione va riservata alla produzione del disco: i suoni del basso di Schiendzelos mettono finalmente in risalto il lavoro del bassista stesso, cosa mai accaduta in modo troppo notevole nei precedenti lavori in studio della band, e le composizioni guadagnano la giusta enfasi nei momenti in cui il musicista americano lascia che le corde del suo basso suonino come delle fruste di metallo. L’altro lato della medaglia è rappresentato dai suoni delle chitarre, fin troppo puliti e limpidi per una band bastarda come i Job for a Cowboy: chi scrive trova che una scelta di suoni sullo stile di Genesis (il primo full-length della band) sarebbe nettamente più idonea.
La corsa sfrenata del combo di Glendale da un sound prettamente moderno, e di chiara matrice deathcore, a sonorità tipicamente death metal non si è ancora esaurita, e questi nove brani sono la prova tangibile della validità di questa band e della capacità di rimettersi in piedi dopo le innumerevoli modifiche all’organico. Demonocracy, seppur non privo di difetti, rimane nel complesso un ottimo disco, ma siamo convinti che il capolavoro sia ancora da scrivere.
7.5