(Metal Blade, 2011)
01 – Misery Reformatory
02 – Plastic Idols
03 – Execution Parade
04 – Signature of Starving Power
Eccoli, i cowboys dell’Arizona sono tornati dando in pasto un nuovo annichilente EP alla loro vastissima schiera di fans. Il titolo della nuova fatica dei Job for a Cowboy , ovvero Gloom, rimanda chiaramente al titolo del primo EP, Doom, con cui la band esordì nel 2006. Lo stile della band da allora è variato enormemente: se con il primo EP i diavoli di Glendale si dimostrarono una promettente band deathcore, con i lavori successivi, l’album Genesis e il celebre LP Ruination, i JFAC hanno messo tutta la loro diabolica inventiva e la loro finissima perizia tecnica al servizio di un malsano e spiazzante technical death metal che tanto sa di old-school ma che mai risulta banale.
Quattro tracce, quattro pugni allo stomaco o, meglio, quattro fucilate suonate con maestria e pronte a devastare chiunque si accinga ad ascoltarle. Tutto qua? Certo…che no! I JFAC non si sono limitati a scrivere quattro schegge death metal, sarebbe stato troppo facile dato il loro bagaglio tecnico. La band ha ulteriormente affinato il proprio sound rendendolo sempre più personale e distinguibile tra la massa di gruppi che affollano il panorama death, mostrando nuovamente che il loro punto di forza sta nel saper far convivere intelligentemente il riffing violento dei chitarristi Bobby Thompson e Al Glassman al disumano tiro del batterista Jon Rice. Sua caratteristica principale è la capacità di suonare a velocità supersoniche mantenendo un groove difficilmente riscontrabile nella maggior parte di dischi death.
Ad arricchire il piatto ci sono l’immancabile e diabolica voce di Johnny Davy, suoni dissonanti come l’intro di “Execution Parade”, assoli di chitarra che nei lavori precedenti erano rarissimi e compaiono anche dei singolari casi di melodia (vedi “Misery Reformatory”) ai quali la porta era già stata aperta nel precedente LP Ruination (vedi la title-track del disco appena citato) e che con piacere ritroviamo questo EP. Le melodie generate dalle sei corde dei JFAC suggeriscono alla mente uno scenario post-apocalittico, la perfetta musica per un incubo. Non c’è nulla di ruffiano o votato alla ricerca di un sound più orecchiabile in queste melodie e nemmeno una scusa per rallentare e prendere fiato, ma qualcosa di mirato e studiato a servizio della canzone e della devastazione sonora: questi ragazzi quando rallentano fanno male allo stesso modo di quando sfornano riff killer a velocità folli.
Una band che non sbaglia un colpo e che in un EP di quattro tracce riesce a infilare un quantitativo di riff tale da riempire due full-lenght di tante adulate band deathcore (…chi ha detto Suicide Silence?). Promossi a pieni voti senza il minimo indugio e ci fanno sperare in un nuovo devastante album al vetriolo…solo una richiesta ragazzi: non metteteci troppo!
Voto: 8