(Flenser Records, 2015)
1.The Mortality of Doves
2. Offramp Cycle, Pattern 22
3.Longtime Disturbance on the Miracle Mile
4. Library Subterranean
5. The Assassination of Adam
6. Spirit Photography
Giunge forse un po’ in ritardo il momento di fare una chiaccherata sull’undicesima fatica dei Kayo Dot, ma, come si suol dire, meglio tardi che mai. Inutile stare a fare confronti con le precedenti uscite del combo statunitense capitanato da Toby Driver, che anche questa volta è riuscito a sfornare un lavoro unico, incatalogabile e ricco di sfaccettature.
Le danze si aprono con “The Mortality of Doves”, il primo punto cardine dell’opera, che ci culla per dodici minuti dipingendo paesaggi metropolitani notturni e malinconici, accompagnati dalle linee vocali di Toby Driver e delicati passaggi di sax, il tutto permeato da un’aura nostalgica che strizza l’occhio al progressive settantiano (Genesis, Gentle Giant, Alan Parson Project). I successivi due brani “Offramp Cycle, Pattern 22” e “Longtime Disturbance on The Miracle Mile” scorrono in modo fluido, senza far registrare picchi d’emotività ma senza neanche stancare l’ascoltatore. Non saranno due highlights del disco, ma risultano sempre godibili le soluzioni canore adottate e i rispettivi refrain, soprattutto nel primo dei due brani citati; considerando che in questa uscita la voce risulta essere spesso il perno portante di molti brani, non ci si può esimere da considerarne le succitate qualità. L’apice dell’album arriva poco dopo con “Library Subterranean”, brano che esprime al meglio l’ecletticità del combo, dagli arpeggi del basso ad un susseguirsi di intrecci armonici e modulazioni che convogliano non indifferenti capacità compositive in territori più ostici. Troviamo qui molte variazioni di tempo, accenti strani e attitudini coraggiose che lasciano emergere il lato più aggressivo e tecnico delle influenze che caratterizzano la formazione: sprazzi di math rock, il jazz eversivo di John Zorn…
La successiva “The Assassination of Adam” è invece il brano dalla forma più rockeggiante; tuttavia, entrati nel vivo del brano, assieme alla voce distorta cominciano ad accadere delle follie nuovamente vicine a lidi avant / jazz e composizioni sperimentali contemporanee. Al culmine della pazzia i toni si distendono ancora una volta durante la closing-track “Spirit Photography” , un brano delicato e suggestivo che ci accompagna dolcemente alla fine di questo viaggio attraverso strade notturne desolate , tenui luci di lampioni ed oscuri grattacieli di una pallida e stanca metropoli in cui il tempo pare essersi fermato per l’oretta nel quale il nostro lettore cd ha riprodotto questa piccola perla musicale.
Coffins On Io risulta essere un album davvero ben fatto, per il quale un’attenta osservazione sinottica non può che riconoscere l’efficacia di un tale modus operandi nel songwriting: linee melodiche semplici e refrain persino orecchiabili, che appoggiano le fondamenta su intricate armonie e arrangiamenti mai banali, denotano un rimarcabile gusto compositiva ed intelligenza non comuni. Raffinata infine la scelta di operare su un tuning leggermente calante per dare un’aria più decadente al tutto. Lunga vita ai Kayo Dot.
8.0