Serata molto varia al Sidro Club, capace di richiamare davvero molta gente per sentire tre valide realtà dell’underground romagnolo: in una serata molto varia, sul palco del pub di Savignano sul Rubicone si sono alternati gli Hierophant, band hardcore / sludge / black sempre più in crescita (inter) nazionale, i post / blacksters Sedna da Cesena e i sorprendenti ravennati Void of Sleep, che col loro stoner rock hanno molto colpito i tanti che stasera non li conoscevano. Ecco il resoconto di questa eterogenea serata ad altissimo volume.
Hierophant + Sedna + Void of Sleep
Sidro Club, Savignano sul Rubicone (FC)
19 / 11 / 2011
VOID OF SLEEP
Ve li avevamo già segnalati sulle nostre pagine pochi mesi orsono recensendo positivamente il loro ep Giants & Killers: ora possiamo dire che dal vivo i Void of Sleep son davvero bravi. Con una performance potente e coinvolgente, i quattro ravennati hanno investito il già nutrito pubblico con sei brani di stoner imbastardito da influenze sludge, parentesi psichedeliche e tanta carica tipica del rock classico. I gruppi che per primi vengono in mente ascoltando questi ragazzi sono sicuramente i Down, i Kyuss e in certi passaggi i Mastodon, ma dare solo queste coordinate non rende giustizia ad una band che, complici anche i suoni più potenti della serata (ma son stati ottimi per tutti), è riuscita a colpire la quasi totalità dei presenti, grazie ad una personalità molto forte e un sound a suo modo originale che però, al di là di ogni influenza citabile, deve tantissimo all’hard rock più classico (non a caso il cantante dedica un brano alla reunion dei Black Sabbath), quel rock che dovrebbe essere nel naturale DNA di ogni appassionato di musica. Abbiamo dunque apprezzato tutti i pezzi in scaletta, ma se dobbiamo segnalarvene qualcuno vi confessiamo che abbiamo ancora in testa “Wisdom of Doom” e “The Great Escape of the Giant Stone Man”, in cui ci è apparsa chiara la maestria di questi musicisti: sono forse i loro pezzi più elaborati e più vari (la prima è dotata di uno stacco centrale psichedelico da sogno, la seconda ci ricorda a tratti anche i Baroness del Red Album), ma hanno allo stesso tempo ritornelli memorabili e strutture che si attaccano alla mente fin dal primo ascolto. Grande impatto, enorme professionalità e personalità: i Void of Sleep ci hanno entusiasmato.
SEDNA
La stessa cosa non possiamo dire dei Sedna, nonostante il loro post / black (o blackened sludge che dir si voglia) sia un genere molto più vicino ai nostri ascolti abituali. Sarà che non ci provocano lo stesso effetto sorpresa della prima volta in cui li abbiamo visti, sarà che la loro performance è stata assolutamente antitetica dal punto di vista del coinvolgimento rispetto a chi li ha preceduti, ma questa sera abbiamo più giudizi negativi che positivi per i quattro cesenati. Forse l’attività live piuttosto intensa per un gruppo attivo da relativamente poco tempo li ha un po’ stancati, ma i Sedna ci son sembrati meno “carichi” del solito, a partire dal frontman Crisa, che di fatto concentra sempre l’attenzione del pubblico durante i live (sia per la sua presenza scenica notevole, sia per l’immobilismo quasi eccessivo degli altri componenti della band): la scelta di cantare per la quasi totalità del concerto dando le spalle al pubblico ci sembra francamente controproducente, e alla lunga trasmette un atteggiamento indisponente capace di dare anche fastidio. Se si canta “dentro” per tutto il tempo, l’emotività ne risente, e il messaggio d’odio e di misantropia che tanto bene traspare dalle urla di Crisa su cd viene quasi appannato: non bastano delle luci tetre e una macchina del fumo per fare “atmosfera”. Dicendo tutto ciò, non vogliamo togliere troppi meriti ai Sedna: il loro O ha avuto molti riscontri positivi in Italia (compresa la nostra recensione), e resta una solida base di partenza da cui partire, anche se dopo averli visti (e apprezzati, sia chiaro) un paio di volte dal vivo i pezzi cominciano a sembrarci un po’ ripetitivi e a tratti troppo legati ad un andamento ondulatorio non solo emozionale. In ogni caso, i Sedna stessi ci hanno detto di volersi fermare un po’ adesso per comporre qualcosa di nuovo; speriamo che le nostre critiche li spronino, perché riteniamo che questi ragazzi abbiano un grandissimo potenziale, ed è per questo che con la performance un po’ spenta di stasera ci hanno fatto innervosire.
HIEROPHANT
Che botta, gli Hierophant. Che fossero una band ambiziosa e promettente, lo sapevamo, e l’avevamo capito anche dal loro debut album, uscito alla fine dell’anno scorso e positivamente recensito dal sottoscritto. Di quel disco avevamo apprezzato maggiormente i pezzi più lenti e tendenti allo sludge, ma ora ci rendiamo conto che, per quanto anche dopo questo concerto rimaniamo della stessa idea, non si può realmente capire il valore degli Hierophant senza vederli dal vivo in questo momento. La produzione dell’album, decisamente troppo caotica (forse per volontà della band stessa), non rende giustizia alla qualità di brani che suonati sul palco acquistano una potenza davvero notevole. I quattro romagnoli infatti hanno questa sera eretto un muro di suono annichilente, e mostrato un affiatamento e una carica travolgenti, nonostante si esibissero in formazione ridotta col solo Steve (Dawn Under Eclipse) alla chitarra, che peraltro è stabilmente in line up da poco tempo, così come il bassista Rappo (ex Upon a Cursed Vessel). Si vede però che la band è ormai ben rodata sul palco, e ci sentiamo di dire che meritano di essere così presenti sui palchi italiani e i tour che stanno per fare in giro per l’Europa: riteniamo che in questo momento il loro “black-hardcore” dovrebbe essere esportato più di quello dei The Secret, che abbiamo visto recentemente fin troppo spenti live.
Ma veniamo al concerto in sé: in 35 minuti gli Hierophant hanno riproposto più o meno tutti i pezzi del loro valido debutto, e se in brani come “Mother Tiamat” e “Ten Thousand Winters” son riusciti a ricreare la coltre di oppressiva pesantezza ascoltabile su disco, nelle schegge “As Kalki” o “I Am I, You Nobody” ci hanno fatto vedere che, al di là delle definizioni, questi ragazzi sanno come si comporta una band hardcore on stage, suonando veloce e incazzata e con un cantante che urla muovendosi come un indemoniato (non a caso, nell’intervista che presto troverete online ha citato come punto di riferimento la seminale band crust His Hero is Gone). Bisogna però dire che, ogni tanto, ad agitarsi così Carlo dimentica anche il microfono, facendo perdere così le graffianti vocals nel marasma sonoro generale. A noi però piace sottolineare come l’impatto visivo ne risenta positivamente, così come apprezziamo l’imponente presenza scenica del batterista Ben, potente ma in un certo modo spettacolare nelle sue movenze dietro le pelli. Ad una band così basta suonare in maniera genuina, con questa carica, per impressionare positivamente.
Gli Hierophant, con una performance spiazzante nella sua semplicità, ci hanno insegnato come per apprezzare un buon gruppo non ci sia bisogno di scervellarsi in complicate definizioni (“post-black-hardcore”, “blackened sludge”, e via dicendo) e si debba evitare snobismi e preconcetti che spesso abbondano in Italia quando si parla di ragazzi che suonano qualcosa abbastanza in voga. Bisogna solo ascoltare la musica. Questi ragazzi ambiziosi possono far strada.