(MYO Agency, 2012)
1. Argh!
2. Tortuga
3. Black Waves vs Red Sky (feat. Frez Iidt)
4. Zombies Eat Brains, Humans Prefer Hearts
5. Anchors Like Chains
6. Mayday
7. Sinbad and the Sands of Time
8. Screaming Sirens
I Marry Me In Vegas vengono da Savona e danno alla luce a fine 2012 il loro debut album, intitolato Hey cap we’ve got a situation. Recensire questo tipo di lavori può essere allo stesso tempo semplice e molto difficile: semplice in quanto i cinque ragazzi che compongono la line up non si discostano un centimetro da quello che è il trend del momento, quello dettato da etichette dal dubbio gusto come Fearless Records e Victory Records (si, sempre loro), e difficile perché effettivamente argomentare un tipo di suono che ha ben poco da dire in quanto ad innovazione è impresa ardua.
La particolarità che comunque caratterizza il combo di Savona è che come “front” non ci sia un “man” ma una “woman”, la cantante Sara che si prende cura di tutto l’aspetto vocale del disco, dagli screams e i growls davvero convincenti, complice un timbro abbastanza fuori dagli standard, fino ai melodici passaggi presenti in quantità industriale in ogni pezzo che compone l’album: per il resto le strutture risultano in linea al canone metalcore moderno, in cui sfuriate di matrice swedish si uniscono a gang vocals e breakdowns. Come già detto a lungo andare risulta difficile distinguere i pezzi tra loro, vuoi per via di una produzione molto compatta ma forse poco “naturale”, vuoi perché il songwriting è poco vario e tende ad essere sempre molto simile in ogni momento che compone gli otto i pezzi di Hey cap we’ve got a situation. Ritornando all’aspetto della produzione, nonostante la critica mossa poco fa, i nostri comunque scelgono una strada professionale e questo non può che essere un punto a loro favore, in quanto pur non suonando in maniera diversa da altri gruppi hanno comunque optato per avere un suono che sia in linea con uscite molto più blasonate della loro invece di cercare soluzioni low–cost che non valorizzano mai le capacità tecniche, le quali in questo caso sono comunque fuori da ogni dubbio. I pezzi più riusciti del lotto, grazie soprattutto a riff davvero devastanti, sono “Anchor Like Chains” e “Mayday”, in cui i nostri mostrano il meglio del loro repertorio, tra ritornelli convincenti e una cattiveria non fine a se stessa ma ben incanalata.
La sufficienza è il minimo che si possa dare a questo lavoro, il solo fatto di avere una cantante che riesca a farsi riconoscere in un mare di cantanti cloni è da lodare: le melodie sono accattivanti, i brani ben suonati e ben prodotti. Purtroppo però non si discostano di una virgola da nessuno degli ultimi lavori di band come Bring Me The Horizon, Pierce The Veil, Parkway Drive (nei momenti più pesanti), dunque il consiglio sarebbe quello di snellire il suono da inutili giochetti “commerciali” e di ricercare una via personale. La tecnica c’è, ma il tutto manca di personalità, mi rendo anche conto che tante band vogliano suonare come i propri idoli più che tentare di diversificarsi, ma almeno allontanarsi un po’ da certe idee idee trite e ritrite può essere già un (piccolo) passo in avanti.
6.0