(Roadrunner Records, 2011)
1. Black Tongue
2. Curl Of The Burl
3. Blasteroid
4. Stargasm
5. Octopus Has No Friends
6. All The Heavy Lifting
7. The Hunter
8. Dry Bone Valley
9. Thickening
10. Creature Lives
11. Spectrelight
12. Bedazzled Fingernails
13. The Sparrow
Dopo un primo ascolto The Hunter, il nuovo album dei Mastodon, ci ha lasciato basiti, col volto corrucciato ed un immenso punto interrogativo sul capo. Non ci sono brani eccessivamente complicati, non ci sono strutture ultra elaborate come nel precedente Crack the Skye, non vi sono brani con minutaggi da record, tutto è molto immediato e maledettamente “radiofonico”, eppure capire questa nuova fatica in studio del combo di Atlanta non è affar semplice.
Sembra che il cambio di rotta intrapreso dalla band, passata dai brani fortemente progressive del precedente album ad un disco fatto di brani più brevi e diretti, voglia giocare con un po’ tutte le sonorità espresse durante la loro carriera. The Hunter, infatti, è composto da tredici brani di chiara matrice progressive anni Settanta in cui è impossibile incontrare talvolta le atmosfere oniriche ed esoteriche di Crack the Skye, mentre quando si preme sull’acceleratore tornano in mente i mix di sludge, heavy e progressive di Blood Mountain, in alcuni passaggi solistici (ma non solo), invece, troviamo atmosfere dal feeling a là Leviathan. Un mix dettato dalla scarsità di idee per rinnovarsi? Assolutamente no, infatti i Mastodon sono stati capaci di rileggere tutti gli elementi a loro cari e reinterpretarli in chiave maggiormente volta verso i Seventies (la band aveva anticipato nei mesi scorsi che il nuovo materiale, ancora in fase di scrittura all’epoca, sembrava una versione oscura dei Led Zeppelin), donando un aspetto fortemente progressive ai brani e riuscendo a far convivere elementi così distanti tra loro in unico mondo; a differenza dei precedenti lavori che avevano un senso nei propri mondi di appartenenza per via delle loro specifiche caratteristiche. Inutile dire, quindi, che si tratta di un grande passo avanti per la band, che rimescola le carte in tavola creando qualcosa di nuovo ed inaspettato ma familiare. Infondo già dall’incipit dell’album, “Black Tongue”, si realizza subito l’idea che quello che si sta ascoltando è stato partorito dalla mente di Troy Sanders e soci per via del riffing dell’accoppiata Hinds & Kelliher, il drumming di ispirazione jazzistica di Brann Daylor (seppur meno sofisticato e più “effettato” del solito) ed una scelta di note, accordi e scale che sono ormai il trademark dei Mastodon. Menzione particolare per quello che riguarda il comparto vocale, fatto quali esclusivamente di voci pulite di tutti i membri della band (sempre maggiore la presenza di Daylor al microfono), tra le quali troviamo, saltuariamente, delle stridule screaming vocals del chitarrista Brent Hinds.
Alcuni fan potrebbero non gradire un sound come questo ma, obiettivamente, una band che riesce a giocare col proprio sound in questo modo, reinventandosi continuamente senza fare passi falsi, facendo quello che più la aggrada e infischiandosene totalmente del mercato e del giudizio altrui va premiata per coraggio e genialità. L’unica cosa da fare è premere play, lasciarsi trasportare da questo The Hunter nel tentativo di coglierne ogni sfumatura e capire fino in fondo cosa hanno combinato i ragazzoni di Atlanta. Una sola cosa è certa: che piaccia o non piaccia lascerà comunque a bocca aperta. Immensi!
7.5