1. Bride Of Crankestein
2. You Can Make Me Wait
3. Brass Cupcake
4. Barcelonian Horseshoe Pit
5. Onions Make Milk Taste Bad
6. Eyes on You
7. Sesame Street Meat
8. Nine Yards
9. The Bunk Up
10. I Get Along (Hollow Moon)
11. Piss Pisstopherson
12. House of Gasoline
Partiamo dal presupposto che tutti conoscono i Melvins e una buona parte dei loro lavori, perlomeno quelli datati anni 90, e che non ci sia bisogno di dare informazioni su questa band stravagante, pesante e seminale.
Addentriamoci, quanto basta, in Hold It In (ancora sotto Ipecac Recordings) e parliamoci chiaro: i riffoni grossi di pura matrice sabbathiana & buzzoiana, che compaiono in “Bride Of Crankestein”, “Sesame Street Meat” e “House Of Gasoline” (che rispolvera alcuni momenti cacofonici già sentiti con “Prick” e “Honky”) non bastano a controbilanciare la noia di alcuni momenti come “Barcelonian Horseshoe”, “You Can Make Me Wait” (che sembra un brano semi-improvvisato e poi scartato dai primi Screaming Trees, quando erano ancora sotto alla SST) e “Nine Yard” (un caos, attenzione non noise, di chitarre, con un basso elementare che non aiuta nessuno a venirne fuori), per non parlare di “Eyes On You” (del pop dettato da due cori amatoriali e chitarre scherzose) che, insieme alla piatta prova dietro alle pelli, di Dale Crover, non possono portare ad un giudizio positivo su quest’album.
Con una ragionata franchezza, nessuno vuole da diverso tempo un “Houdini 2”, ma neanche delle canzonette che necessitano di innumerevoli e a volte inutili ascolti per essere capite e non screditate, solo per il semplice motivo che escono a nome Melvins. Alcuni brani di questo Hold It In sembrano essere uscite dalla Sub Pop dei poveri o dalle mani, in fase di produzione, di un vicino di casa di Jack Endino. Questi signori sono un po’ i nonni di tante cose e gli ascoltatori, soprattutto i più attempati ed esigenti, non hanno più voglia delle loro bizzarre e giullaresche sfuriate musicali: certe cose hard rock/stoner/pop/country annebbiate dalla psichedelia presenti in Hold It In possono tranquillamente essere lasciate in un cantone in sala prove, con l’attesa di ritrovare la serietà persa da un po’ ed il giusto gusto compositivo per rielaborarle e pubblicarle in maniera convincente. L’album, nonostante la partecipazione del chitarrista e del bassista dei Butthole Surfers (gli autori dell’allucinante capolavoro noiseLocust Abortion Technician, uscito nel 1987 per la Touch And Go) scorre male e se poi ripercorriamo all’indietro la carriera dei Melvins (da Stoner Witch a Ozma) il confronto è semplicemente imbarazzante.
King Buzzo di recente ha dato vita al suo progetto solista, sottraendo del tempo alla sua band madre, cosa che si è pienamente percepita in questo lavoro. Il mondo non aveva bisogno di un album solista di Buzzo, ma di un buon album dei Melvins da comprare e consumare.
5.5