Quanto spazio c’è nel mercato globale odierno per una band come I Menmic? Uniscono l’industrial di spessore più europeo (più Rammstein che Fear Factory, per intenderci) con la melodia. Spruzzano, di tanto in tanto, ritmiche dispari a fare da contorno (come nel primo singolo, ”Diesel Uterus”) che li avvicinano ai sempre cari Meshuggah, ed il gioco è fatto. In mezzo, sì, rimangono pur sempre tante cose. Le influenze più metalcore dei compatrioti Raunchy, per esempio. Ma da qui ci si distacca poco.
Il quarto album dei Mnemic, dunque, si apre come meglio non si potrebbe: urla e beats che scandiscono l’assalto sonoro. Poi, però, la situazione si calma un po’ (si fa per dire), e si fanno strada i ritornelli, gli staccati ed i cambi di tempo. Tutte ottime opportunità per inserire un coro, smorzare il ritmo e strizzare l’occhio ai musicalmente più deboli. Ma quante band lo hanno già fatto, e quante lo stanno facendo proprio ora mentre noi tutti ascoltiamo il suddetto disco? Quello che manca, ormai da qualche anno per dire la verità, non è affatto l’originalità compositiva dei musicisti, bensì l’inventiva. Chiamarla “voglia di sperimentare” può certamente essere un approccio giusto. Ed i Mnemic ce la mettono tutta per confezionare un prodotto vario e che tenda a non ripetersi troppo (seppure la struttura base dei vari brani sia pressoché la stessa durante tutto il disco). Riuscendo, peraltro, a raggruppare in una dozzina di tracce tutto il meglio degli ultimi anni in fatto di modern metal. La questione di base, è che ciò che una band si suppone che faccia non è un riassunto, bensì la scrittura di nuovi capitoli.
Al momento in sui scrivo, stando ai dati di vendita il disco è tuttavia risultato ampiamente sotto le aspettative, soprattutto per quanto riguarda il mercato americano. Tralasciando il dispiacere e le perdite che questo potrebbe aver portato alla comunque solida Nuclear Blast, allora, quanto spazio rimane per i Mnemic?
Voto: 5