L’1.11.13 è la data di uscita di “Stand Up and Fight”, nuovo video dei Merendine, tratto dal disco “New World Disorder”. Per l’occasione abbiamo chiacchierato con il batterista Luca Cerardi co-fondatore della band che ci ha descritto i primi anni dei Merendine, da dove deriva il nome, le avventure, gli alti e bassi, le sensazioni che si provano a condividere il palco con le rockstar e la grande soddisfazione di essere ancora uniti come gruppo dopo 18 anni.
Quando e come è nata l’idea di fondare i Merendine?
L’idea è nata nell’inverno del 1993. Zanda ed io studiavamo nella stessa classe e in quell’anno, di terza superiore, si erano aggiunti altri studenti da altre sezioni. La classe si era allargata e, tra questi nuovi compagni, uno suonava la batteria in una band. Durante quell’inverno c’era stata l’occupazione della scuola e, prima delle vacanze di Natale, in varie zone del complesso, c’erano stati concerti o iniziative varie. Zanda ed io siamo andati a vedere la band di Roberto, i “Jesus Brothers” e lì son rimasto folgorato dal suo modo di suonare la batteria, mentre Zanda, credo, dal modo di cantare del cantante e, in generale, eravamo entusiasti di quel “mondo musicale” che non avevamo mai conosciuto prima. Ricordo l’eccitazione all’uscita dalla palestra, dove si era svolto il concerto, e la voglia di fondare anche noi una band. Eccitati avevamo già deciso di chiamarci “Killers”, senza sapere che almeno un milione di band avevano quel nome, ma eravamo ragazzi, c’era voglia di fare baccano e basta. Nessuno pensava che la musica sarebbe diventata parte della nostra vita. Eravamo anche un po’ “ritardatari” per lei. Molti iniziano a suonare da piccoli, mentre noi non c’eravamo mai interessati ad essa se non in quegli anni, quando avevamo scoperto il rock e poi l’heavy metal. Quel dicembre tutto era embrionale. Sarebbero passati molti mesi prima che iniziassimo a suonare. Era solo l’idea che era nata, ma senza quel concerto di Roberto durante l’occupazione della scuola nel dicembre del 1993, noi non avremmo mai suonato.
In molti si chiedono perché avete scelto come nome Merendine, com’è nata quest’idea?
Credo sia la domanda più gettonata di questi quasi diciannove anni di storia della band. E’ uno dei più grandi problemi che abbiamo dovuto affrontare. In Italia è sempre stato osteggiato perché non è un nome inglese e non è “cattivo”, mentre all’estero non era comprensibile, o meglio, era di difficile pronuncia, almeno fino a quando siamo stati Merendine Atomiche. Quell’ “atomiche” era proprio ostico. Il problema estero, però, è arrivato molti anni dopo. In primis abbiamo affrontato quello nazionale, che non c’ha mai preso sul serio eppure, lo ripeto da diecimila anni, hanno amato band con nomi molto strani come le rocce rotolanti, la marmellata di pearl, le zucche spappolate, gli scarafaggi, i peperoncini caldi e piccanti, eccetera eccetera fino ai piedi di pollo… ma si sa che l’inglese, lingua e sistema dominante, è molto più accattivante del misero italiano e che, a parità di fantasia, suona meglio sempre quello che non è del proprio giardino. Questo nome è nato nel 1997 ed è merito del nostro secondo bassista. Avevamo iniziato da due anni a suonare e sinceramente eravamo molto scarsi. Non avevamo mai avuto un nome perché tutto era nato per scherzo, per divertirci e nei primi mesi abbiam cambiato molti componenti, perché non c’era un progetto. Quando le cose si stavano stabilizzando, o tentavano di stabilizzarsi, il “Guaits”, soprannome del nostro bassista dell’epoca, era arrivato con l’idea di chiamarci Merendine Atomiche perché era un nome in controtendenza, perché era in italiano, non sempre in inglese e perché significava, in maniera goliardica, che anche le cose più piccole e dolci potevano diventare esplosive e forti. Un po’ come dire che niente è impossibile. Questo suo significato era il punto focale e da lì ci siamo sempre focalizzati nella difesa del nome. E’ vero anche che nessuno avrebbe mai pensato di suonare per decenni e di fare quello che abbiamo fatto, per cui non c’era l’idea di scegliere un nome per fare carriera, ma era un nome simpatico, tanto per divertirci. La rottura della line up continua di quegli anni, l’aveva anche fatto mettere in cantina per un anno, quando ci eravamo chiamati “Mantra”. Siamo, poi, tornati a Merendine Atomiche nel 1998 fino al 2010, quando abbiamo tolto “Atomiche”; stavolta per un problema di pronuncia all’estero e per dare un taglio al passato, quando siamo diventati un four act piece, da cinque che eravamo stati per dodici anni.
Per il nome abbiamo avuto problemi sempre ma, visto questo accanimento per un qualcosa che riguardava più il “Business” e il “marketing” , che non la musica, l’abbiamo sempre difeso e ce lo siamo sempre portati con noi, con orgoglio. Credo che su certe cose l’abbiamo pagato ma, sinceramente, rifarei tutto uguale perché, comunque, quel poco che ci siam guadagnati, lo abbiamo fatto lottando con i denti e restando fedeli ai nostri ideali, come credo, dovrebbe fare sempre un gruppo rock.
Il vostro ultimo album si intitola New World Disorder, qual è il significato di questo titolo e cosa significa per voi aver raggiunto la pubblicazione del 5° disco?
“New World Disorder” è un album di attacco al sistema, o meglio un album che pone alcune domande sul piatto della vita normale offuscato, ormai, dalla nebbia mediatica che viene creata ad hoc dal sistema di comando che dirige ogni aspetto della nostra vita. E’ uno sguardo oltre alle normali visioni della vita, alla ricerca di indagare se ciò che pensiamo sia reale e vero, lo sia veramente, o se al di là della tendina non ci sia non uno, ma più strati diversi di comando che noi non percepiamo per ignoranza, per pigrizia, per scarsa voglia di fare e per un sostanziale ripiegamento a favore del sistema stesso. NWD non ha soluzione, ha domande, pone domande, si chiede delle cose e lascia all’ascoltatore la risposta o spererebbe di infondere un dubbio e di farlo cercare in mezzo a quel caos che, ormai, è il nostro mondo iperveloce. Che il Mondo non sia un festa mi sembra abbastanza chiaro e, quindi, se invece lo pensiamo, perché c’è tutto sto caos in giro e chi comanda veramente le fila, se da anni tutti parlano e nessuno fa nulla? Letteralmente “New World Disorder” si contrappone al famoso “New World Order” di cui si sente spesso parlare, di quella cricca di potenti che gestiscono i veri fili del business, della borsa, dell’economia, delle banche, della finanza e di tutto quello che oggi decide il destino di noi piccoli esseri umani. Se esista o meno sto ordine, non lo so, ma di certo quello che i media fanno apparire chiaro, non lo è di certo. Se qualcosa si rompe, ognuno di noi proverebbe ad aggiustarlo, invece questa società non lo fa mai, anzi, alcuni guadagnano da quella rottura, altri l’hanno prevista per guadagnarci, altri si aggregano poi per guadagnarci, altri la preferiscono rotta che non aggiustata, altri hanno gestito la distruzione, quindi, il sistema non è sano e anche se non esiste un vero NWO, di sicuro esiste qualcuno che non vuole il bene di tutti, ma il proprio. D’altra parte, spesso siamo noi stessi che speriamo in una piccola fetta di quel potere e difendiamo i nostri aguzzini. L’album, quindi, indaga non solo cosa ci possa essere dietro questa “società” ma anche il ruolo passivo e negativo che i cosiddetti “normali” hanno in questa. E’ un album serio che, appoggiato al già odiato nome, crea un mix difficile da digerire e che invece, a mio avviso, trova un ottimo connubio tra testi e musica. Un album maturo anche perché semplice e non complicato, diretto, in tutti i sensi. Niente di innovativo, un metal pesante, a tratti veloce, a tratti melodico ma puro e semplice anche perché spesso quello che viene considerato innovativo è un remake di qualcosa di vecchio e non diventato famoso, o semplicemente dimenticato ma già vissuto.
“Stand Up and Fight” è il prossimo singolo estratto, di cosa parlano la canzone e il video?
“Stand Up and fight” si inserisce alla perfezione nel contesto sopra descritto. Nello specifico a essere sotto “inchiesta” è l’abuso di farmaci nel nostro paese e nel mondo occidentale. Sembra che ormai ci sia una pillola adatta ad ogni cosa, che siamo perennemente malati, che nascano pandemie ogni anno e che l’unica soluzione sia sempre una maggiore medicalizzazione. Prova ne è che, almeno dalle mie parti, mentre tutto è in vendita, le uniche cose a crescere sono gli ospedali. La domanda che poniamo è “ma siam sicuri che sia così”? Insomma sars, suina, aviaria etc etc ci hanno infestato la tv con scenari apocalittici per poi rivelarsi enormi bufale. Cosa c’è veramente sotto? Perché nella società più pulita e controllata della storia queste pandemie dovrebbero esplodere? Non ha senso. E perché dovremmo sempre prendere una pillola per ogni santo male che abbiamo? Credo che in pochi sappiano che molti medicinali cambiano nome ma hanno lo stesso principio attivo, che tutto è una questione di soldi e di marketing. In molti fanno del business la loro vita, quindi, meglio di me, sanno che senza “cliente” non c’è guadagno. Se non c’è cliente bisogna crearlo e creargli una necessità. Giusto? Ora, senza paziente, come fa l’industria farmaceutica ad esistere? Se tutti stessimo bene loro non esisterebbero, quindi, come ogni buon commerciante, prima devono creare la necessità e poi il rimedio. Ma il rimedio non deve essere totale, altrimenti da guarito non si è più pazienti. Per cui spesso, a nostro avviso, la situazione non è chiara e abbiamo la sensazione che al sistema faccia più comodo averci ammalati o tenerci ammalati che non sani, pensanti e forti. “Stand Up and Fight” parla di tutto ciò. Interroga e indaga queste cose. La salute è una priorità dell’uomo e ci chiediamo se lo sia anche per le case farmaceutiche e, quindi, per il sistema che le appoggia.
Avete condiviso il palco con Motorhead, Testament e Doro Pesch, come ci si sente a suonare a così stretto contatto con gruppi di questo calibro?
Chiaramente bene ci si sente! Sono state esperienze diverse, ma tutte molto emozionanti. Con i Motorhead abbiamo condiviso palchi molto grandi e loro sono semplicemente icone del rock. E’ stato indescrivibile. Ricordo che il primo show a Roma con loro avevo le gambe bloccate. Non ho suonato bene ed ero tesissimo ma l’emozione provata era cosi grande che rimane uno dei più bei ricordi della mia vita da musicista. Con i Testament lo scenario era diverso. Eravamo negli Stati Uniti e volevamo assolutamente fare bella figura. L’emozione era tanta, ma forse c’era anche più ingenuità, essendo successo cinque anni prima dei Motorhead. Era come essere in un paese dei balocchi. Con Doro Pesch siamo al recente passato e qui siamo alla professionalità e alla perfezione dell’organizzazione. Eravamo più maturi e con esperienza ,ma tutto era semplicemente divino. Sono forti emozioni. Con Lei ricordo molto bene Madrid e tanti momenti straordinari. Quello che accomuna tutti questi grandi musicisti è la loro semplicità, la loro affabilità e la facilità di suonar con loro. Credo che, questo soprattutto , sia stata la grande forza da cui abbiamo attinto l’esempio.
Avete girato l’Italia e l’Europa in questi diciotto anni come band e fatto anche alcune date negli States, e questo senza piegarvi al “sistema musicale italiano”, come vi sentite e qual è lo spirito che vi porta avanti?
Il Sistema non è solo italiano, il sistema è mondiale e dove ci sono soldi e potere è esattamente la stessa cosa. Certo, noi ci siam affacciati per primi in Italia, ma non son mancate le disavventure estere. Per cui direi che la percentuale si alza solo per il fatto che viviamo qui. Il problema è da sempre una divisione tra i “buoni” e i “cattivi”. Non importa colore della pelle, razza, paese, origine, pensiero, idea… se uno è “buono” con lui si troverà sempre una soluzione, perché con onestà e rispetto si vince ogni cosa. Se l’altro è “cattivo” non ci sarà mai una soluzione e ti dovrai sempre guardare alle spalle. Diciamo che ad oggi la percentuale pende verso il “cattivo” e per molti aspetti è quasi impossibile districarsene. Una volta capito questo, semplicemente vai avanti per la tua strada. C’è chi si adatta e prova ad essere cattivo, altri che diventano “servi” e altri che vanno avanti per la loro strada. Insomma, avere un ego smisurato a volte può essere un bene ma spesso non lo è, avere tanto potere e denaro può avere dei grandi lati positivi ma anche molti negativi, avere successo non sempre è un bene… ma esiste la parte negativa dell’onestà? No, non c’è una onestà meno onesta, un contraltare. E’ questo che fa la differenza. Certo, siamo umani anche noi e non monaci, quindi un tempo pesava di più, in gioventù, quando credi a tutte le storie che la società occidentale ti racconta. Ti creano quella voglia di successo, vittoria, conquista, evoluzione, incremento per cui pensi che debba essere cosi. Poi però cresci, maturi esperienza e vivi la musica giorno per giorno e la vita normale. Cambi e subentra solo l’amore per la musica, per la tua band intesa come amici e per il progetto che hai in testa. Suoni, stai assieme, crei, cerchi di crescere per condividere musica e idee con gli altri. Ecco il vero scopo. A quel punto il sistema evapora, perché anche se ti scontri lo vedi in maniera diversa. Hai perso le esigenze che ti creavano dipendenza e vivi tutto con semplicità. La nostra filosofia è sempre stata di suonare onestamente ciò che ci piaceva, essere quello che siamo e fare del nostro meglio. Non era importante dove si arrivava ma il viaggio. Oggi ne siamo ancora più convinti. Soldi, potere, egocentrismo, non hanno mai fatto parte dei Merendine per cui le guerre le lasciamo agli altri. Un tempo ci eravamo fatti prendere dal vortice ma, per fortuna, siamo cresciuti e abbiamo ancora lo stesso entusiasmo di un tempo, il regalo più bello che potremmo mai chiedere al presente e al futuro.
Online dal 1° Novembre il nuovo video Stand Up and Fight con l’omonimo pezzo tratto dal disco New World Disorder: http://www.youtube.com/watch?v=xijqxp5rf98