(Debemur Morti, 2013)
1. Monolithe IV
Tutto quanto, prima o dopo, raggiunge il proprio epilogo e sembra proprio che per l’act francese Monolithe il momento sia arrivato adesso, a ridosso dell’uscita del quarto e appunto ultimo lavoro a nome Monolithe IV. Formalmente e concettualmente molto rigorosi, i quattro doomster hanno basato la propria intera produzione artistica intorno ad un concept desolante e decadente legato alle origini della razza umana ed ai successivi, drammatici sviluppi che essa ha vissuto nel corso del tempo. Nessun genere quindi sarebbe potuto essere più consono alla missione del funeral doom mortifero ed asfissiante elaborato dai Nostri, figlio della tradizione nordica del genere ma non privo di interessanti spunti più moderni tipici del vasto sottobosco underground francese.
Rispetto al precedente Monolithe III, lavoro nel quale la vena sperimentale era stata spinta con successo all’estremo delle sue conseguenze, oggi i Monolithe preferiscono fare un passo indietro, fondendo il vecchio con il nuovo, le immancabili radici funeral degli esordi con saltuari momenti maggiormente imprevedibili, usati spesso come collante tra i vari momenti statici di cui l’album necessariamente vive. Trattandosi ancora una volta di una singola, infinita traccia dalla durata di un’ora, risulta impossibile suddividere l’analisi del platter in momenti scissi e ben definiti: del resto, l’intento del gruppo è sicuramente quello di creare un ascolto fluido e progressivo, scelta questa che però in definitiva risulta castrante per le possibili evoluzioni che la musica avrebbe potuto prendere in Monolithe IV. Non avendo infatti precisi momenti di rottura, il canovaccio compositivo gira fondamentalmente sempre intorno al solito motivo principale, alternato di quando in quando dai suddetti momenti più ariosi e “di rottura”, che proprio per questo motivo non sempre risultano ben inseriti all’interno della composizione: il ciclico ritorno degli stessi riff e delle stesse atmosfere dona sicuramente un fascino arcano e quasi “classico” al lavoro, ma fa cadere allo stesso tempo l’ascoltatore in una sorta di trance ipnotica che fa sussultare appena il mood generale cambia in favore di soluzioni ora arpeggiate ora sussurrate, basate su di uno straniante giro di pianoforte o affidate alle ancestrali partiture di batteria. Non sempre insomma i passaggi elaborati dalla band per donare al lavoro un minimo di dinamica e varietà risultano ben inseriti nel contesto generale, nonostante sia giusto al contempo rendere valore a tutti quei momenti in cui, invece, si riesce a sviluppare qualcosa che vada oltre la semplice riproposizione di stilemi già ampiamente esplorati da Esoteric, Evoken e tutta la vecchia guardia del doom più ossianico e catacombale, peraltro citata con reverenza ma mai pedissequamente dai francesi.
Estremamente personale è il giudizio che ogni ascoltatore potrà farsi in merito a Monolithe IV, grazie ad un songwriting sfuggente ed affascinante, insieme tipico ma moderno, con qualche pesantezza di troppo ma comunque legato ad una formula ed un riffing personale ed avvincente, capace di entrare nella memoria dopo poco, ma parsimonioso e restio nel portare alla luce l’infinità di particolari e trame sonore che donano indubbiamente longevità ed un maggiore interesse al riascolto dell’album. Questo è il canto del cigno con cui i Monolithe, per loro stessa dichiarazione, decidono di congedarsi dall’ambiente musicale, e spiace sinceramente che decidano di farlo con un lavoro a tratti poco coinvolgente, ma sicuramente manifesto di un modo fresco ed intelligente di intendere un genere come il funeral doom per sua stessa definizione statico e poco incline al cambiamento, da sempre appartenuto a questa particolare realtà francese.
7.0