(Century Media Records, 2015)
1. House of Blood
2. Voice of Slumber
3. Snakestate
4. Black Enemy
5. Descent Into Hell
6. Ungod
7. Nemesis
8. God Is Evil
9. Traitor
10. Prison In Flesh
11. The Dark Sleep
In questi ultimi anni, per motivi che non ci è dato conoscere, idee di reunion che poco tempo addietro sarebbero sembrate piuttosto improbabili si sono concretizzate in più casi, dando vita con il tempo ad una prassi più o meno discutibile. I tedeschi Morgoth prendono il loro posto tra i casi più recenti: dopo ben diciannove anni di forzata assenza dalla scena death metal la classica formazione germanica ha preso la decisione di ritornare in attività, presentando a breve distanza dall’annuncio ufficiale i primi teaser del nuovo album, ora fruibile nella sua interezza dal pubblico internazionale.
La solida base su cui poggia Ungod è quella dell’ideale ritorno alle origini: nessuna particolare pretesa dunque, con la morte definitiva delle suggestioni pseudo-industrial di Feel Sorry for the Fanatic, accantonate in favore di una formula che non potrebbe essere più classica. Ritroviamo infatti quell’energia a propellente groove, quel riffing che non è in alcun modo mero “gusto nostalgico” ma vero cuore delle formazioni della vecchia guardia; a ciò si aggiunge un’attitudine anch’essa tipica dei sempre più frequenti fantasmi del passato improvvisamente auto-riesumati, quell’irriverente rifiuto del concetto di “stare al passo coi tempi”. Mentre da un lato ciò farà sicuramente storcere il naso a chi si aspettava un qualunque tipo di ammodernamento della proposta, fan della formazione ed amanti delle sonorità non edulcorate delle origini avranno pane per i loro denti, proprio grazie a questa particolare attitudine tradotta in musica.
I veterani di Meschede propongono con Ungod un usuale more of the same, rifacendosi ai precedenti lavori Odium e Cursed; il sound generale non è cambiato, con chitarre pesanti e compatte la cui presa sull’ascoltatore è esponenzialmente amplificata da un robusto lavoro di batteria che non manca di soddisfare oltre le aspettative. Menzione particolare per il basso, udibile (ed apprezzabile) come mai prima d’ora in un lavoro del genere, complice una produzione eccellente che si pone come maggiore punto di forza del disco e suo pressoché unico elemento innovativo. Il nuovo vocalist Karsten Jäger fa la sua parte, dimostrandosi valido sostituto del da poco ex-membro Marc Grewe e nel contempo contribuendo in modo significativo all’operazione di reenactment dei fasti passati con un’interessante impressione vocale di chiara memoria Schuldineriana. Da segnalare tra i difetti più evidenti invece la presenza di una purtroppo nutrita serie di momenti adibiti a filler che penalizza l’ascolto integrale dell’album favorendo al contrario le singole tracce.
Alla luce della precedente analisi si potrebbe definire il disco del ritorno dei Morgoth come un’efficace ripresa di elementi che parevano oramai perduti nel tempo, sostanzialmente una ben riuscita operazione-nostalgia. Niente di più, niente di meno.
7.0