(20 Buck Spin, 2014)
1. Concrescence Of The Sophia
2. Silence Of The Passed
I Mournful Congregation provengono dall’Australia del Sud, Adelaide, per la precisione. La loro è una carriera “lenta”, che dal ’93 li porta ad affrontare i primi live nel 2009; con l’ep Concrescence of the Sophia, che esce a tre anni di distanza da The Book Of Kings, si comprende bene che la lunga attesa è giustificata dal risultato.
Il lavoro si apre con la titletrack,”Concrescence of the Sophia”, fatta di suoni lungamente attesi, velati di romanticismo, secondo la formula ormai tipica di questi alfieri del funeral doom, che qui partono da un arpeggio distorto per aumentare pesantemente l’angoscia di una traccia lunga e sofferente. Dopo l’introduzione arpeggiata, l’approccio alle voci è pulito, ricco di riverberi accesi, ma subito un growling trascinato e granulare inizia a inserirsi nella melodia. Quelle utilizzate dai Mournful Congregation sono soluzioni ricche che ammiccano dal sepolcro al doom più classico, quello di stampo heavy metal anni 80: molto forte l’impronta Candlemass nelle impressioni e nelle suggestioni fino all’apertura di chitarra acustica. Quando il pezzo riprende nella sua tetra pienezza sono già trascorsi sette minuti. Lo slancio di energia serve solo a introdurre una parentesi più metal, con un tappeto di doppio pedale grasso la cui unica funzione è quella di convincere l’ascoltatore che la composizione vive di vita propria, prende slancio e cambia forma, fino a ricordare i Mercyful Fate e formazioni d’epoca. La terza parte prende invece a piene mani dalle soluzioni di certo thrash, senza lasciarsi però contaminare da una vera velocità: diventa incalzante, fino a lasciare spazio ad un finale di desolazione più marcatamente doom.
Dopo più di ventuno minuti si apre la seconda traccia, con un ritmo ansimante e angoscioso caratterizzato da un forte accento dinamico dell’arpeggio, lentissimo, che si dipana sulla chitarra distorta e sconfortata; spicca anche il riverbero sulla voce, come un sospiro sepolcrale sconfitto. Per tutta la prima parte la traccia non regala sorprese, fino all’arpeggio con vibrato e riverbero su un drone di sottofondo che prepara il campo ad una sezione di grande emotività che richiama sempre le solite sonorità danesi dei tristi tempi che furono.
L’EP fila come un pezzo solo. Beh, fila nel senso del funeral doom, basta capirsi: lo ascolti bene mentre guardi la nebbia che nasconde ogni cosa, lo ascolti bene in un cimitero solitario o sul ciglio di un crepaccio. Convince perché rapisce nel suo essere un lavoro articolato e deciso, che richiama tante cose note ma che non copia malamente, e che si lascia riascoltare senza lasciare perplessi. Quella dei Mournful Congregation è una maturazione che dura da più di vent’anni anni, per la gioia, si fa per dire, di un piccolo gruppo di appassionati per lo più in decomposizione in tombe solitarie.
8.0