(Peaceville Records, 2011)
1. In Your Dark Pavillion
2. You Are Not The One Who Loves Me
3. Of Lilies Bent With Tears
4. The Distance, Busy With Shadows
5. Of Sorry Eyes in March
6. Vanité Triomphante
7. That Dress and Summer Skin
8. And Then You Go
9. A Hand Of Awful Rewards
10. The Music Of Flesh
11. Seven Times She Wept
12. The Burning Coast Of Regnum Italicum
13. She Heard My Body Dying
14. And All Their Joy Was Drowned
Evinta è un album che ha bisogno di qualche chiarimento, in sede di recensione.
Prima di tutto bisogna ricordare che cade nel ventennale della band, che dalla formazione ad oggi ha spaziato con crescente intelligenza tra territori vicini al doom/death canonico fino a romperne le barriere, contribuendo a creare quel gothic che non poté che dividere il pubblico e la critica in due.
In secondo luogo i brani non sono inediti, ma è meglio precisare che è come lo fossero; su questo torneremo durante l’analisi vera e propria dell’album.
Infine il formato è di quelli che, seppur abbondanti e quindi manna per i collezionisti e i fan della prima linea, non invita ad un ascolto unitario e quindi ragionato (formato standard in 3 cd per nove brani, quattordici nell’edizione deluxe).
Alla luce di questo sembrerebbe che il nuovo lavoro dei My Dying Bride sia una normale uscita celebrativa, una rilettura di brani celebri concepita per vendere qualche copia in più al fan nostalgico.
Niente di più sbagliato.
Evinta è un collage di una profondità disarmante, una summa di quella che è la carriera musicale della band attraverso un’ottica completamente diversa: non death, non doom, nemmeno gothic, tutt’altro.
L’organico comprende strumenti quali viola, il più consueto violino, oltre che una voce di mezzosoprano nonché un apparato tastieristico fondamentale (piano, organo e clavicembalo sono protagonisti); non è possibile parlare però di rilettura “sinfonica” (come riferirono le prime indiscrezioni) non essendoci un’orchestra effettiva, quanto più di rivisitazione tra l’ambient e il neo-classic più esigente (sono fortissimi gli echi di una delle più grandi band “ambient/metal” di sempre, capaci di coniugare atmosfera ed epicità: i Summoning).
Colpisce profondamente la costruzione dei brani, il loro essere veramente toccanti in un territorio dove cadere nella banalità gotico-pacchiana è uno scherzo: i MDB restano credibili fino all’ultimo, consegnandoci affreschi di pura disperazione, di ineguagliabile sincerità.
Gli arrangiamenti di Jonny Maudling, tastierista/batterista dei gloriosi Bal Sagoth (che gruppo!), dimostrano un’attenzione particolare per le atmosfere decadenti ed evocative, caratteristiche dei MDB fino all’ultimo For Lies I Sire (2009): echi ambient decisamente marcati, campionamenti di rumori esterni di buon effetto, attenzione per il valore timbrico dei vari strumenti, nonché una maggiore liricità e gusto melodico (in questo senso gli ultimi due album raggiungono vette di pura perfezione).
La voce di Lucie Roche dona quel tocco di solennità in più, arrivando a declamare anche una parte della celebre sequenza medievale Stabat Mater (nel brano “Of Lilies Bent With Tears”); il recitato di Stainthorpe si inserisce perfettamente nel nuovo taglio stilistico dei brani, aggiungendo ulteriore profondità.
Da segnalare due brani su tutti: “In Your Dark Pavillion” e “That Dress and Summer Skin”.
Evinta non è doom, nemmeno death; il gothic spiazzante non esiste più, e non è nemmeno musica “classica” come poteva sembrare: è qualcosa di unico, che difficilmente potrà essere replicato con uguale intensità.
Voto: 8.