(Century Media Records, 2015)
1. Apex Predator – Easy Meat
2. Smash a Single Digit
3. Metaphorically Screw You
4. How the Years Condemn
5. Stubborn Stains
6. Timeless Flogging
7. Dear Slum Landlord…
8. Cesspits
9. Bloodless Coup
10. Beyond the Pale
11. Stunt Your Growth
12. Hierarchies
13. One-Eyed
14. Adversarial / Copulating Snakes
Le presentazioni in questo caso sono praticamente inutili: con una carriera quasi trentennale, i Napalm Death si possono definire delle vere e proprie pietre miliari del panorama grindcore e death metal. Dal 1987 i nostri ragazzoni di Birmingham hanno attraversato diverse fasi, più o meno fulgide, ma sempre con un loro preciso marchio di fabbrica e una fortissima personalità. I Napalm li riconosci a orecchie tappate, hanno fatto la storia eppure non sono il classico esempio di band che campa di rendita come la maggior parte dei gruppi con un passato importante alle spalle. Loro no, non si sono fossilizzati, non sono mai rimasti immobili.
Apex Predator – Easy Meat non si discosta molto dalle ultime uscite come concezione di sound, la produzione è pulita e potente ma mai plasticosa e questa cosa non può che far piacere; certo, magari bisogna cercare di fare più attenzione alle differenze tra questo ultimo lavoro e quelli immediatamente precedenti ma il marchio di fabbrica è sempre lo stesso. C’è anche da aggiungere che c’è stato qualche problema ultimamente, Mitch Harris per motivi personali non potrà andare in tour almeno per quest’anno se non di più e questo probabilmente avrà avuto ripercussioni anche sul lavoro in studio in generale. La prima cosa che si nota è la linearità di Apex Predator – Easy Meat: il disco scorre molto bene, l’ascolto è semplice, ogni pezzo è adrenalinico e corre all’impazzata, senza ovviamente cadere in un continuo blast beat che non porta a nulla e che a volte stanca e rende noioso anche il riff più bello e potente. Il fattore groove assume un carattere leggermente meno importante, a differenza di quanto potevamo sentire su Time Waits for No Slave e Utilitarian. Qui si va dritti al punto. Parlando dei Napalm Death sembrerebbe un eufemismo, essere diretti per loro è praticamente un obbligo, ma anche quelle grandi aperture melodiche che comparivano sporadicamente nei succitati dischi qui sono più limitate e ridotte all’osso. Si tratta principalmente di canzoni a impatto costante con ottimi arrangiamenti, riff spezza ginocchia, il vocione di Mark Greenway che ci abbaia addosso tutta la sua furia contro il sistema e una sezione ritmica che dà tutto e lo fa con estrema intelligenza. Non ci sono tracce che emergono su altre, non c’è il ‘’pezzone’’, il capolavoro da aggiungere ai tanti brani stupendi che questi inglesi hanno composto nell’arco degli anni, ma nemmeno nessuna traccia “tappa buchi”, la qualità media è decisamente alta. La copertina, infine, è un tocco di classe aggiuntivo, geniale
In soldoni non si sta parlando di un capolavoro, questo è certo, ma comunque di un disco assolutamente godibile, allineato e coerente con la storia di questo grande gruppo. In quanto icone del grindcore sui Napalm Death si hanno sempre molte e a volte troppe aspettative, ma chi non si fomenta troppo nell’attesa e rimane realista riconoscerà che quasi trenta anni nella scena sono un’enormità, e se dopo tutti questi anni possiamo ancora ascoltare dischi simili non si può rimanere delusi.
7.5