(Seasons Of Mist, 2011)
1. Rite of the Slaying Tongue;
2. Eater of the Black Lead;
3. Psychagogoi;
4. Lucifer Trismegistus;
5. The Gnosis of Inhumation;
6. The Angel of Smokeless Fire;
7. Dreaming Above the Sepulcher;
8. Via Tortuosa;
9. Old Night
Gruppo fino a qualche tempo fa sconosciuto ai più, i Nightbringer stanno iniziando a farsi lentamente strada nell’enorme mondo dell’underground black metal. Attivi fin dal 2001, hanno ricevuto la consacrazione definitiva con l’album dello scorso anno Apocalypse Sun, pur risultando sebbene questo risultasse di molto inferiore al primo e monumentale Death And The Black Work (stampato anche in versione triplo vinile) e al precedente split a quattro con progetti del calibro di Saturnalia Temple, Aluk Todolo e Nihil Nocturne (questi ultimi pur proponendo un buon pezzo, risultavano però essere i peggiori dell’intera uscita). A distanza di un anno, quindi, gli americani Nightbringer ritornano con un disco composto da nove inedite canzoni e con una nuova etichetta pronta a produrli: la Seasons Of Mist al posto della precedente Avantgarde.
Il songwriting non cambia, la formula del combo statunitense pare essere solida e d’effetto, trascinante e coinvolgente. Ciò che cambia rispetto al precedente full lenght è sicuramente la produzione: se in Apocalypse Sun si era scelta una maggiore cura per suoni più cristallini, scelta che ha portato la drum machine a sovrastare terribilmente le ottime partiture di chitarra, in Hierophany of the Open Grave si ritorna verso sonorità legate al primo album, con suoni leggermente più grezzi ma amalgamati ottimamente e bilanciati in modo da creare un continuum che sappia valorizzare tutti gli elementi presenti nel gruppo. Gli elementi distintivi dei Nightbringer si ripetono ancora una volta: riffs spesso e volentieri alti e zanzarosi, linee di batteria imponenti che alternano accelerazioni molto pesanti a parti quasi doom (scelta quasi più per un gruppo death, ma il risultato è ottimo comunque), prova vocale sempre sopra le righe sia nell’uso dello scream che del growl e, cosa più importante per un disco di questo genere, un’atmosfera difficilmente replicabile, esoterica, quasi ritualistica e perversa in alcuni passaggi. Uno degli esempi più eclatanti di questa descrizione è “Lucifer Trismegistus”, in cui saltano all’orecchio anche pesanti influenze dei mai dimenticati Emperor di Anthems To The Welkin At Dusk, soprattutto per quanto riguarda i cori e l’uso dei synth, oltre che della voce. Altro episodio da segnalare è “Via Tortuosa”, forse la canzone più atipica dell’intera uscita, che partendo con una intro acustica, va sviluppandosi verso soluzioni basate su tempi cadenzati che risaltano il grande lavoro dietro le parti vocali e soprattutto lo struggente riff finale di chitarra che va a trascinare chi ascolta direttamente verso la canzone finale dell’album, “Old Night”. Canzone che, dopo un inizio devastante a base di blast-beats e accelerazioni di ogni genere, si chiude in uno smorzando a base di pianoforte e atmosfere malinconiche e decadenti, lasciando un senso di vuoto che solo il riascoltare il disco può colmare.
In un’annata che per ora non sembra molto generosa sul versante black metal, Hierophany of the Open Grave potrebbe fare felici le orecchie di molti appassionati del genere, pur essendo un disco di non facile assimilazione e della durata di un’ora. Non per tutti, ovviamente, ma per chi già conosceva gli americani e per chi è avvezzo a certe sonorità, un ascolto è d’obbligo.
Voto: 7.