(Profound Lore Records, 2014)
Disco 1
1. Eden’s Gates
2. Promise
3. Shoulder Meat
4. Fist of Fury
5. Simia Dei
6. The Lash
7. Never Enter
8. After You’re Dead
Disco 2
1. Burden
2. Predators
3. A Hideous Nightmare Lies Upon the World
4. Arrows to Our Hearts
Sono quattordici gli anni di attività, pur con qualche buona pausa, per questo super gruppo d’oltreoceano con membri di Cave In, Converge e Isis. La recensione in questione tratta di entrambi i dischi omonimi fatti uscire dagli Old Man Gloom a distanza di quattro giorni uno dall’altro e tratteremo le due creazioni come una sola, indipendentemente dalla piccola differenza che c’è nel missaggio e nella produzione in generale e tralasciando il fatto che prima di queste è uscito inizialmente un altro lavoro dallo stesso titolo che però a quanto pare era una specie di promo falso inviato agli addetti ai lavori, una mossa che ha suscitato qualche perplessità; una burla che assomiglia più ad una trovata commerciale che ad una “protesta” nei confronti del file sharing, come sarebbe stata nelle intenzioni della band.
Il titolo del disco si riferisce al concetto medioevale della Scimmia di Dio, ovvero Satana che in un modo o nell’altro cerca di imitare l’Altissimo con un suo regno e un suo culto ma che è confinato comunque in quello spazio che il Signore gli ha riservato: per quanto potente egli sia è solo uno stupido, perché pensa di poter prendere il posto dell’onnipotente. La proposta musicale non è cambiata di molto: quello degli Old Man Gloom è sempre post metal tutto bello irrorato di lampi di noise. Cupo e pesante, The Ape of God è un’ottima commistione di potenza, ritmi cadenzati supportati da chitarre belle piene e voce gutturale e graffiante. Il disco segue un suo filo logico, uno stile ben definito, ma ogni canzone può essere considerata un mondo a se stante, nel senso che ogni pezzo è stato concepito in maniera diversa dal precedente, c’è una grossa varietà, merito di tutto un esoscheletro fatto da riverberi e suoni di matrice elettronica che compongono, contornano e a volte penetrano con insistenza, qualche volta pure esageratamente, le canzoni. Sicuramente si nota la grande capacità ed esperienza di questi musicisti, ma viene facilmente da pensare a qualcosa di costruito ad hoc per cercare un’originalità che forse non c’è veramente. Il discorso è tristemente simile da quanto già detto in precedenza su queste pagine per NO: se The Ape of God fosse uscito anni fa avrebbe sicuramente avuto una maggiore risonanza nel panorama musicale estremo. Non manca niente, ma nonostante la varietà che lo contraddistingue la sua capacità di fuoco non riesce a stupire più di tanto l’ascoltatore medio, figuriamoci il purista. Certo, creare un prodotto veramente originale e atipico in questo genere ormai saturo è una missione praticamente impossibile e anche se gli Old Man Gloom hanno probabilmente tentato con tutte le loro forze a catturare l’attenzione, viene malignamente da pensare che ci siano riusciti più per le strane modalità di pubblicazione che per i loro ormai tipici giochi di suoni e le loro ritmiche ossessive. Perdersi nel labirinto sonoro di The Ape of God è come appoggiare l’orecchio ad una conchiglia e sentire l’eco di un primordiale mare: in questo caso, è soprattutto l’eco di una grandezza che fu.
Nonostante per questo disco si sia puntato molto in alto, e tutti gli scopi che sembrano essersi prefissati questi veterani del post metal non siano stati raggiunti, è pur vero che abbiamo tra le mani qualcosa che deve essere ascoltato, che è comunque fuori dalla righe e che ci riporta fortemente ad un immaginario musicale che ora viene saccheggiato con troppo poco rispetto da tante presunte nuove leve. Sentiamo però di non dovere a questi maestri una riconoscenza incondizionata.
6.0