1. All Things Dead
2. THRALL_FULCRUM_APEX
3. Permanence
4. Manifest Desolate
5. The Absurdity of What I
6. Source of Icon O
7. Continuum
8. Unstainable Zero
9. Redistribution of Filth
10. Obsolescence
11. Malthusian Collapse
12. The Indiscriminate
13. Kill Yourself (S.O.D. cover)
Dal 1997 ad oggi, d’acqua sotto i ponti ne è passata e, nel cuore del 2014, per gli Origin è tempo di sesta release.
Autori di sonorità a dir poco uniche, i quattro del Kansas sono, da anni, nel bene e nel male, una grandissima influenza per molte band – talora, ahimè, più nel male che nel bene: basti pensare all’infinità di pivelli del brutal death secondo i quali questo genere consiste in due estremi, gli sweeps e i gravity blasts da una parte, in antitesi con lo slam super-zarro di ispirazione Devourment dall’altra – e quindi ogni nuova uscita discografica è percepita come un evento profetico che può essere conferma, sorpresa o tradimento: stiamo parlando, infatti, d’una band che non ha nulla da dimostrare, se non ricordare a chi, per sbaglio, ne avesse perso memoria, che, con questo Omnipresent, è decisamente in forma e competitiva.
Dal punto di vista ufficiale, Omnipresent rappresenta l’esordio alle vocals degli Origin dell’istrionico Jason Keyser, former member dei newyorkesi Mucopus, andato in prestito agli Skinless quando Sherwood Webber dovette scappare in Colorado; anche in questo caso, il ragazzone si trova a rimpiazzare un posto decisamente importante all’interno d’una band seminale. Se però, negli Skinless, la missione risultava compiuta solo per metà, negli Origin, Mr. Keyser pare abbia trovato la propria dimensione ideale, riportando il reparto vocale della band ad alti standard che fanno pensare non poco a James Lee (senza dubbio, finora, il miglior frontman che la band abbia avuto), gettando ancora ombre su quel poveretto che si faceva soprannominare Maniac (ex-The Faceless, al secolo Mica Meneke), vocalist di transizione fra 2010 e 2011, scialbo dal vivo, anonimo in studio di registrazione (cfr. Entity).
Dunque, andando per sommi capi, prestazione sugli scudi di Jason Keyser a parte, Omnipresent non porta in scena nulla di nuovo in casa Origin: insomma, è un disco che suona Origin al 100%; per cui, se siete fans senza ‘se’ e senza ‘ma’ della band, non esitate due minuti e fatelo vostro. Certo, i pezzi interessanti non mancano: penso a “THRALL_FULCRUM_APEX”, forse il migliore del lotto, forte di un grande impatto, scale e dissonanze eseguite a velocità assurde, una voce veramente spietata e un lento finale a metà fra i Suffocation e certo sludge (!); ma anche “Malthusian Collapse”, una vera e propria marcia death metal à la Cannibal Corpse stuprati in salsa prog; per i fans dei gravities e degli sweeps, ovviamente, questi non mancano un po’ ovunque e fanno la parte del leone più in fase d’arrangiamento che di pattern puro (forse la prima grossa differenza rispetto al passato – prossimo – della band); lo stesso si dica per gli assoli del guitar hero Paul Ryan. Nonostante, dunque, alcuni piccoli/‘nuovi’ accorgimenti ed arrangiamenti (il finale di “Manifest Desolate”: i Down con la doppia cassa a tavoletta – sic –; il citazionismo di Immolation e Morbid Angel nell’ottima “The Absurdity of What I”), malgrado qualche breve strumentale palesemente filler, in cui i nostri flirtano con Malmsteen e i Dimmu Borgir più dozzinali (ringraziando, sono tre pezzi di un minuto l’uno circa, su un album intero), si tratta di un disco pienamente rappresentativo del sound degli Origin, che non aggiunge nulla a quanto già detto (lo standard elevatissimo dell’epico Echoes of Decimation, purtroppo, in certi frangenti, pare irraggiungibile); anzi, a volte, con la scusa di ‘osare’, rischia di fare la classica pisciata fuori dal vaso… Qualche esempio? “Source of Icon O” è una canzone abbastanza nella media del disco, con un bel lavoro di doppia voce, riffoni d’impatto e che fila via in due minuti, dando ceffoni quanto basta: il ‘problema’ è che, malgrado gli hyperblastbeats e i tappeti inumani forniti dal sempre inarrivabile ed amfetaminico John Longstreth, suona come una canzone tremendamente grindcore primi anni ’90! Oppure, “Redistribution of Filth”, una delle songs più ‘scapocciabili’ di Omnipresent, già dal titolo, sembra un pezzo dei Wolf Brigade, per il d-beat roccioso con cui inizia, per poi sfociare nell’Origin tout court e in qualche arrangiamento sulla scia di certi Napalm Death… Per carità, non ho assolutamente nulla né contro il crust, né contro il grindcore, però, davvero, l’effetto in questi pezzi è proprio quello d’un copia/incolla raffazzonato, in cui gli elementi hardcore mal convivono con quelli technical brutal death metal: come se sulla Venere di Milo ci fotomontaste la faccia di Nayke Rivelli, come gustare una Saker Torte accompagnata da una fetta di salamino piccante calabrese; nessuno nega che entrambe le cose siano buone, ma, per come messe insieme, non riescono a coesistere (e dire che, negli USA, Exhumed e Impaled insegnano da eoni come far convivere in pace ed armonia death metal con grind e certo hardcore…). Nella stessa scia inserirei la cover degli Stormtroopers of Death, “Kill Yourself”, canzone fighissima tratta dal seminale Speak English or Die, ma che c’entra con gli Origin come i proverbiali cavoli a merenda.
Che dire? C’è comunque del (molto!) positivo su Omnipresent, sia chiaro… Bravi-bravissimi perché sono gli Origin e se la suonano come nessuno su questo pianeta e Jason Keyser, con la sua prova di voce, rende di nuovo molto interessante il reparto growl’n’screams; per tutto il resto, trovo che Omnipresent sia più un disco per soli fans che per un eventuale ‘grande pubblico metal’.
7.0