Into Darkness Tour 2012 è il poco originale nome dell’ennesimo carrozzone metallico che si degna di scendere in Italia, addirittura senza fermarsi a Milano ma arrivando direttamente a Bologna per un’unica data italiana. In realtà l’Estragon, specialmente in questo periodo, ospita eventi simili più o meno una volta al mese, e di solito qualche gruppo interessante c’è sempre nelle scalette, solo che in pochi son sempre disposti a spendere trenta euro per un solo gruppo che magari poi suona giusto mezz’ora. Abbiamo già parlato di quanto siano inutili e noiosi i discorsi sul costo dei concerti, perciò ci limitiamo solo a dire che forse stavolta il prezzo del biglietto ha davvero allontanato molte persone, dato che l’Estragon si è riempito soltanto per metà. Ma tant’è, evidentemente i costi erano particolarmente alti, e se anche un bill composto da Pain, Moonspell e Swallow The Sun non ha lo stesso fascino di quello del Full Of Hate ad esempio,i presupposti per una serata interessante c’erano tutti.
Pain + Moonspell + Swallow The Sun
Estragon, Bologna
15 / 11 / 2012
SWALLOW THE SUN
Onestamente, non abbiamo capito molto del concerto degli Swallow The Sun. Ma non per ignoranza, conosciamo bene la band finlandese, il loro debutto The Morning Never Came è uno dei migliori dischi di gothic/doom “à la My Dying Bride” uscito negli ultimi anni e, nonostante non siano più stati in grado di ripetersi in seguito, anche quando li abbiamo visti di spalla ai Katatonia (era da poco uscito il ruffianissimo New Moon) abbiamo comunque apprezzato il loro impatto live. Stasera gli Swallow The Sun presentano principalmente i pezzi del nuovo Emerald Forest And The Blackbird, che prosegue lungo l’irritante strada della melodia a tutti i costi e del ritornello radio-frendly (in Finlandia roba così sfonda facilmente), ma s’è distinto davvero poco di quello che facevano sul palco, i suoni sono stati impastati per tutta la durata dello show e per quanto i musicisti sembrassero “carichi” dall’impianto del locale (ma non è solo colpa di quello, ci vuole pure il fonico giusto) non traspariva nulla. Il pubblico femminile avrà comunque goduto delle movenze dell’ammiccante Mikko, che sembra abbia smesso di fumare mentre canta ma non certo di tirarsela come un Ville Valo qualsiasi. Fatto sta che quando gli Swallow The Sun finiscono, il morale è sotto i tacchi. Poi però arrivano i Moonspell…
MOONSPELL
…e in un attimo ci risvegliamo dal torpore: notiamo subito il cambio di fonico dietro al mixer, e i risultati si sentono eccome, i suoni sono molto più “pieni” e definiti. I portoghesi attaccano con “Axis Mundi”, traccia d’apertura del nuovo, notevole, Alpha Noir / Omega White e le teste cominciano a roteare. Però l’ingresso in scena di Fernando Ribeiro finisce dritto dritto nella hit parade delle cose più grottesche e imbarazzanti viste nel 2012: l’imponente frontman entra marciando con il microfono in cima ad un bastone roteante, e in testa ha una sorta di elmo da battaglia che manco i Manowar si azzarderebbero a indossare. Per fortuna Ribeiro lascia perdere subito simili pacchianate e regala una performance vocale di spessore, oltre a dimostrarsi particolarmente affabile nelle pause tra i brani, mettendo in fila persino qualche parola in italiano più consistente di “grazie mille”. La scaletta comprende un numero stranamente piuttosto basso di pezzi nuovi e lascia un considerevole spazio ai classiconi di Wolfheart e Irreligious: “Wolfshade” viene accolta con grande entusiasmo, ma nulla in confronto alle ovazioni che arrivano con la riproposizione della coppia “Vampiria” / “Alma Mater”. Quest’ultimo è uno di quegli inni immortali del black metal che non possono non emozionare dal vivo e pure la band sembra divertirsi per quanto per loro si tratti di “routine”, in particolare Pedro Paixão, frenetico per tutto il concerto nel dividersi tra la seconda chitarra e la sua tastiera “girevole”. Dopo l’ultimo ritornello/inno di “Alma Mater” saremmo anche soddisfatti, ma i Moonspell ci regalano pure una “Frost Moon Madness” che sarà anche meno epica, ma chiude alla perfezione un concerto lungo un’ora, intenso e coinvolgente. La calorosa ovazione finale tributata dal pubblico alla band, che si trattiene qualche minuto a prendersi tutti i meritati applausi, rende l’idea di quanto fossero davvero loro gli headliner della serata: probabilmente al giorno d’oggi venderanno meno dischi dei Pain (ma davvero?), ma li superano agilmente in classe ed empatia.
Setlist:
Axis Mundi
Alpha Noir
Opium
Awake!
Wolfshade
Licknthrope
En Nome Do Medo
Vampiria
Alma Mater
Full Moon Madness
PAIN
Come molti sapranno, i Pain sono nati come divertissement di Peter Tägtgren, leader della fondamentale e visionaria death metal band Hypocrisy, e tali dovevano restare, se Peter non si fosse accorto che a scrivere questi dischi di “industrial” (pop) metal farciti di tracce danzerecce si divertiva parecchio e vendeva pure bene. Tägtgren è un musicista molto abile e non è strano che sia così bravo a scrivere pezzi tanto “radiofonici”, ma non siamo mai riusciti a prendere troppo sul serio questo suo progetto e per di più abbiamo come l’impressione che neanche lui lo faccia. Per tutta la durata del concerto il frontman svedese, che sarebbe un po’ la star del gruppo in quanto gli altri musicisti son solo dei turnisti, s’è limitato a fare il compitino, suonando ovviamente bene (ma li fonico era lo stesso degli Swallow The Sun e in questo caso ha fatto un lavoro di poco migliore) e mostrando una loquacità degna di Mark Lanegan (che, per chi non lo sapesse, se dice una sola volta “thank you” nell’arco di un concerto è già tanto). Dall’inizio del concerto, ovvero da “Same Old Song”, al singolone finale “Shut Your Mouth”, è stata praticamente solo la musica a parlare, ma il problema è che c’è davvero poco da dire: se non avessimo sbirciato la scaletta da dietro il mixer avremmo fatto poco caso alle differenze tra un brano e l’altro, e se anche come già detto la band ha suonato in maniera impeccabile la cosa più interessante di tutto il concerto è stato comunque guardare le darkettone che danzavano in corpetti decisamente troppo stretti. Forse non dovremmo spingerci a giudicare troppo Tägtgren e quello che fa, ma la sensazione che lui stesso dà è che suoni in maniera totalmente svogliata, e considerando il calore palpabile della band che lo ha preceduto la sua freddezza, in un contesto come questo e per il tipo di pezzi suonati, è sembrata quasi fuori luogo. Tuttavia, se con i tour e i dischi dei Pain riesce a campare abbastanza tranquillamente per regalarci ogni tanto qualche capolavoro degli Hypocrisy, alla fine ci sta anche un bel chissenefrega.
Setlist:
Same Old Song
I’m Coming In
Walking On Glass
Zombie Slam
Dirty Woman
Monkey Business
End Of The Line
Great Pretender
Dark Fields Of Pain
It’s Only Them
— (Encore) —
Let Me Out
On & On
Shut Your Mouth