(Profound Lore Records, 2014)
1. Worlds Apart
2. Foundations
3. Watcher in the Dark
4. The Ghost i used to be
5. Ashes
6. Vanished
Nati da soli sei anni, con una manciata di uscite i Pallbearer hanno attirato l’attenzione dei doomsters di tutto il mondo, in particolare con il loro spettacolare primo lavoro Sorrow and Extinction, grazie anche all’ etichetta che li ha scoperti, la Profound Lore Records, e a una line up solidissima, che non ha subito nessuna modifica dall’inizio del progetto. Riff pesanti e densi, batteria marcata e lenta e una voce che può ricordare i grandi nomi del doom anni 70 con una rielaborazione delle sonorità che tende lievemente a delle atmosfere più “funeral”, questa la ricetta semplice ma efficace dei nostri, che arrivati al secondo full-length devono dimostrare di non essere stati solo un abbaglio per molti.
La prima cosa che si percepisce già dalla prima traccia, è proprio un assorbimento delle atmosfere cupe e dense tipiche del funeral doom, anche se in conclusione quello che fanno i nostri è ben diverso da grandi nomi come Thergothon e Skepticism. L’ultima fatica dei Pallbearer preme molto sulla lunghezza, ogni traccia ha un suo carattere evocativo, ma tutte sono caratterizzate da una grande varietà di soluzioni e creatività. Si parte con “Worlds Apart”, dalla durata di oltre dieci minuti, un brano in cui la voce riveste un ruolo secondario, sovrastata dai lunghi momenti strumentali, ora epici e evocativi, ora lenti e introspettivi, caratteristica che si protrarrà per tutto l’album, con lo stesso cantante a rivestire il ruolo di quarto strumento. La seconda traccia, “Foundation”, ha un carattere più duro e tagliente, con riff dissonanti e una batteria molto marcata, a creare una coltre fumosa che si dirada solo in pochi tratti di melodie più eteriche ed emozionali. “Watcher in the Dark” tira fuori il lato più oscuro e malato del gruppo, con strazianti chitarre e una voce che a tratti diventa quasi un lamento. In tutto questo, completamente fuori tema, ma non per questo poco piacevole da ascoltare e apprezzare, troviamo “Ashes”, in cui la band si scrolla di dosso tutto il doom metal delle tracce precedenti per regalarci un viaggio inaspettato in un universo parallelo fatto di un semplice pianoforte, una batteria lenta e una chitarra delicata a creare solo un contorno indistinto.
Al giro di boa i nostri dimostrano di non essere dei pivellini alle prime armi, regalandoci un secondo intenso album, assolutamente da non perdere per gli amanti del genere, un disco intenso in cui i Pallbearer riescono, oltre che a confermarsi sugli alti livelli degli esordi, a dar nuova linfa e originalità alla propria proposta.
7.5