(Southern Lord, 2012)
1. Ataraxia
2. Lathe Biosas
3. Parasite Colony
4. Taraxis
Atarassia, dal greco ἀταραξία, letteralmente ‘assenza d’agitazione’. Quale titolo migliore per definire un disco come Ataraxia/Taraxis, totalmente incapace di ‘smuovere’ l’ascoltatore, se non per spingerlo a stoppare la riproduzione?
Se dovessimo dividere il panorama musicale in due tronconi – buona musica/pessima musica – i Pelican meriterebbero una collocazione intermedia, possibilmente in una rubrica intitolata ‘occasioni sprecate’. Azzardando un paragone scolastico, il caro vecchio ‘ha le potenzialità, ma non si applica’ potrebbe fare al caso nostro. Un po’ come gli alunni intelligenti ma sfaticati fanno dannare i malcapitati professori, le bands come i Pelican fanno arrabbiare maledettamente ogni appassionato di musica (pesante o meno). Si, perché le già citate potenzialità i nostri le hanno eccome, e ce l’hanno dimostrato in più occasioni, in particolare con i primi due full length, Australasia (2003) e The Fire in Our Throats Will Beckon the Thaw (2005). Usciti per Hydra Head, la label di Aaron Turner degli Isis, sono due album decisamente riusciti, in bilico tra post-metal classico e influenze doom/sludge. Nonostante siano dischi strumentali, riescono a mantenere desto l’interesse dell’ascoltatore, soprattutto grazie ad una certa omogeneità di fondo, che li rende simili a veri e propri streams of consciousness musicali.
Fin qui tutto bene, tutto bellissimo: peccato che due anni più tardi esca City of Echoes, polpettone post-rock che ci restituisce dei Pelican quasi irriconoscibili, alle prese con un sound notevolmente alleggerito. Non è un album brutto, ma parecchio discontinuo e soprattutto insopportabilmente derivativo. Le cose non migliorano col successivo full-lenght, What We All Come to Need, che alterna qualche buon episodio a cadute di tono inspiegabili. Insomma, all’alba del 2012 i Pelican sono una band in caduta libera.
Ataraxia/Taraxis arriva ad interrompere un silenzio durato tre anni, in assoluto il maggior lasso di tempo passato dalla band senza rilasciare nuovo materiale. Effettivamente, quella di far passare qualche anno dopo l’ultimo deludente LP, potrebbe sembrare una saggia decisione, tanto per ricaricare le batterie e recuperare un minimo d’ispirazione. E invece i nostri sono riusciti a fare, se possibile, anche peggio. Si, perché Ataraxia/Taraxis è un disco noioso, tanto che si fatica a portare a termine l’ascolto (e non è una bella cosa, visto che non dura nemmeno venti minuti). Chissà, fosse uscito nel 2000 magari ne staremmo parlando bene, ma oggi non è più possibile tollerare una simile sagra del cliché. In sostanza, quello che ci viene proposto dai Pelican è un mix di quanto già sentito negli ultimi lavori della band di Chicago, e quindi, per estensione, negli ultimi 15 anni di post-rock: un concentrato di banalità e stereotipi che, francamente, hanno stancato già da un po’.
Poi, da qui a definirlo un disco brutto o inascoltabile in senso assoluto, ce ne passa: Trevor de Brauw e compagnia non hanno certo dimenticato come si suona. Il problema è che un album del genere è concepito per non lasciar traccia: non è nient’altro che un lavoro da mestieranti senza né arte, né parte. E se questa è un’anteprima del nuovo full-length, si salvi chi può.
5.0